Claris Appiani ucciso in tribunale a Milano, il papà: “Non saprò mai come l’assassino è entrato con la pistola”
L'avvocato Lorenzo Claris Appiani la mattina del 9 aprile 2015 stava prestando giuramento in un'aula del tribunale di Milano quando fu raggiunto dai colpi di rivoltella che gli costarono la vita. A impugnare l'arma Claudio Giardiello, imprenditore immobiliare e suo ex cliente, quel giorno coimputato insieme ai soci per bancarotta fraudolenta.
"Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità…"
Spari, urla, ancora spari. Ancora urla. Questo è quello che si vede e si sente nelle registrazioni delle telecamere. In soli tre minuti perdono la vita, oltre a Lorenzo, Giorgio Erba, socio di Giardiello, e il giudice Ferdinando Ciampi, raggiunto in pochi attimi nel suo ufficio al piano inferiore. Dopo una breve fuga, si giunge all'arresto e poi all'ergastolo per Giardiello, mentre per i genitori del giovane avvocato ucciso, Aldo Claris Appiani e Alberta Brambilla Pisoni, la parola fine su questa vicenda non è mai arrivata.
Che cosa vi ricordate di quel giorno?
Alberta: "È come la moviola, no? Lo continuo a rivedere, pezzo per pezzo, quello che è stato quella mattina".
Aldo: "Eravamo in viaggio per Milano, partendo dall'isola d'Elba, dove abitualmente abitiamo. Casualmente abbiamo avuto bisogno di rintracciare nostro figlio Lorenzo, però abbiamo notato che il cellulare non prendeva, abbiamo fatto un giro di chiamate, quando a un certo punto mia figlia mi ha detto ‘Ma non sai che è successa una cosa incredibile? A Milano un tizio è entrato in tribunale e ha sparato, uccidendo diverse persone'. Però lei non sapeva esattamente chi fossero le vittime, ci ha fatto il nome dell'assassino perché era una persona a noi conosciuta, in quanto era un vecchio cliente di mio figlio Lorenzo. A quel punto ci siamo spaventati moltissimo, perché in tribunale quella mattina doveva andarci anche Lorenzo, proprio a un processo per bancarotta fraudolenta intentato contro questo signore".
Che rapporto c'era tra Giardiello e vostro figlio?
Aldo: "Lorenzo era stato l'avvocato di questo Giardiello, ma sei anni prima dell'accaduto, perché poi aveva rimesso il mandato in quanto si era trovato in crisi fiduciaria nei confronti di questo signore. Mio figlio non aveva fiducia in quell'assistito, dal momento che gli raccontava storie, nascondeva situazioni. Insomma, a un certo punto l'ha mollato. E questo tizio evidentemente se l’è legata al dito".
Però l'ha chiamato a testimoniare?
Aldo: "Era molto strano, in effetti. Mio figlio come testimone che cosa poteva fare? Oltretutto si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere, in quanto Giardiello era stato suo cliente".
Alberta: "Avevo avuto un brutto presentimento in merito a quella chiamata a testimoniare e avevo a Lorenzo ‘Ma no, non andare. Ma cosa vai a fare? Sicuramente sarà un'esperienza brutta'. Lui mi aveva risposto “Ma cosa vuoi che mi possa succedere in tribunale?'".
Quando avete appreso la notizia?
Aldo: "Noi evidentemente non volevamo apprenderla, perché ci sarebbe bastato accendere l'autoradio e ormai in tutta Italia si sapevano già nome e cognome dei defunti, dell'assassino e l'intera storia, invece abbiamo continuato a cercare informazioni tramite amici, parenti e persone a noi vicine, finché, dopo podo, abbiamo comunque saputo la verità. Eravamo in macchina e stavo guidando sull'autostrada della Cisa".
Alberta: "Quando abbiamo avuto la conferma ho temuto che mio marito scavalcasse un cavalcavia e mi ricordo di avergli detto ‘Non farlo, perché potremmo sopravvivere'. E poi mi ricordo che vedevo che il mondo continuava, vedevo tutte queste macchine e immaginavo le vite al loro interno, per loro era un giorno come un altro, mentre io sapevo che quello non sarebbe mai più stato un giorno come un altro e forse non lo sarebbero stati neanche tutti i giorni a venire".
C'è stato un processo, che ha visto Giardiello condannato all'ergastolo. Secondo voi è stata fatta giustizia?
Aldo: "Innanzitutto c'è da dire che questo tipo (Giardiello, ndr) aveva una pistola. Essendo un uomo con trascorsi violenti, uno si chiede come mai fosse riuscito ad avere il porto d'armi, nonostante i carabinieri del suo paese avessero dato parere negativo. Il secondo punto è la sicurezza del tribunale. Il pubblico ministero aveva definito “inquietante” lo Stato del sistema di sorveglianza all'interno del palazzo di giustizia milanese. Ebbene, uno si aspetta che dopo questo “inquietante”, ci siano delle conseguenze, invece non c'è stato niente, è stato archiviato tutto, salvo la posizione di una guardia che era predisposta al controllo del passaggio di via San Barnaba, da dove si vede in un video che passa l'assassino la mattina del 9 aprile".
Si tratta di Roberto Piazza.
Aldo: "Su di lui la sentenza non è passata in giudicato: era stato assolto in primo grado e condannato in appello per essersi distratto in qualche maniera e aver lasciato passare la borsa dell'assassino contenente, secondo l'accusa, la rivoltella. Ma questa ricostruzione è inverosimile perché un assassino che prepara da sei anni un piano meticoloso per mettere insieme le vittime, realizzando un piano perfetto e facendo una strage in 3 minuti, io mi rifiuto di credere che si sia affidato al caso, sperando che una guardia di distraesse. Roberto Piazza, che poi è morto prima del terzo grado di giudizio, è la quarta vittima della strage del Tribunale, non c'entrava niente. Era una persona perbene, non è vero che si è distratto. La rivoltella l'aveva portata questo assassino in qualche altra maniera, come lui stesso ha dichiarato poco prima della sentenza all'ergastolo in aula. L'ho sentito con le mie orecchie, ha detto ‘L’ho portata tre mesi prima' e dopo ha ritrattato. Di fatto però rimane questo buco, questo grave vulnus. E non c'è, secondo me, una reale giustizia sui reali responsabili di quello scatafascio che era il sistema di sorveglianza del Tribunale di Milano".
C'è una causa civile ancora in corso. Che cosa chiedete?
Alberta: "Vogliamo che, almeno nella causa civile, vengano accertate le reali responsabilità. Non si deve più basare la sicurezza su delle probabilità statistiche e adesso siamo in attesa del primo grado".
Davide Limongelli, nipote di Giardiello, è l'unico superstite. L'avete mai incontrato?
Alberta: "Si è salvato perché la pallottola si è fermata a un millimetro dell'aorta. Ci siamo parlati e la prima cosa che io gli ho detto è che non ho mai pensato come mai lui fosse vivo e Lorenzo no".
In occasione dell'anniversario varcherete la porta di quell'aula per la commemorazione, come vi sentite?
Alberta: "Dal 1940, quando si è aperto il Tribunale di Milano, in quell'aula si sono succeduti migliaia e migliaia di processi. È vero che quel giorno sono morti Lorenzo, Giorgio e il giudice Ciampi, ma è come se fossimo stati colpiti un po’ tutti. E il fatto che la commemorazione avvenga lì è anche un modo per far capire a tutti i presenti quanto siamo vulnerabili, nessuno escluso".