Indagati Conte, Speranza, Fontana e Gallera per la mancata zona rossa nella Bergamasca
L'allora premier Giuseppe Conte e il ministro della Salute Roberto Speranza, il governatore (oggi riconfermato) della Lombardia Attilio Fontana e l'allora assessore al Welfare Giulio Gallera. Indagati anche il presidente dell'Istituto Superiore della Sanità Silvio Brusaferro, l'allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e il presidente del Consiglio Superiore della Sanità Franco Locatelli.
Sono le prime notizie che filtrano dalla imminente chiusura indagini, che arriva dopo 3 anni e una pandemia che, nella prima parte del drammatico 2020, ha riempito più di 3mila bare in provincia di Bergamo: è l'inchiesta sulla mancata zona rossa nella Bergamasca nei primi tragici tempi del contagio da Covid, che oggi vede finalmente la sua conclusione.
"Apprendo dalle agenzie di stampa notizie riguardanti l’inchiesta di Bergamo", commenta intanto il Presidente del M5S Giuseppe Conte. "Sono tranquillo di fronte al Paese e ai cittadini italiani per aver operato con il massimo impegno e con pieno senso di responsabilità durante uno dei momenti più duri vissuti dalla nostra Repubblica”. "Io sono molto sereno e sicuro di aver sempre agito con disciplina e onore, nell'esclusivo interesse del Paese", le parole invece di Roberto Speranza.
I principali filoni dell'indagine
Tre, in sostanza, i filoni dell'indagine: la repentina chiusura e riapertura dell'ospedale di Alzano Lombardo dopo la scoperta dei primi casi da contagio di Covid il 23 febbraio, la mancata zona rossa in Val Seriana (su modello di quella già istituita nel Lodigiano dopo il caso di Codogno) nonostante l'esplosione già conclamata di casi e gli ospedali al collasso, e l'assenza di un piano pandemico aggiornato per contrastare l'allarme pandemia, lanciato dall'Oms già il 5 gennaio del 2020: era fermo al 2006.
Tra i capi d'accusa: epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo, rifiuto d'atti d'ufficio. Così il procuratore aggiunto di Bergamo Cristina Rota, con i pm Silvia Marchina e Paolo Mandurino, sotto la supervisione del Procuratore Antonio Chiappani, hanno chiuso le indagini volte a individuare le responsabilità, eventuali o meno, di una tragedia che nella Bergamasca ha lasciato dietro di sé migliaia di morti e profonde ferite.
Il caso dell'ospedale di Alzano Lombardo
È domenica 23 febbraio, 2020. L'ospedale di Alzano Lombardo viene chiuso intorno all’ora di pranzo. Viene transennato e nessuno può accedervi: una paziente è morta, e altri due sono risultati positivi al tampone. Tra loro, ricoverato nel reparto di Medicina Interna, c’è Ernesto Ravelli, ovvero il primo malato bergamasco deceduto ufficialmente per il Covid 19.
Dopo poche ore di chiusura, però, l’ospedale riapre. Stando ad alcune testimonianze, non ci sarebbe stato nessun intervento straordinario di sanificazione e soprattutto sarebbe mancata la creazione di un triage differenziato, con l’accesso separato al Pronto soccorso, per chi mostrasse sintomi compatibili con il nuovo Coronavirus.
La direttiva data alla direzione sanitaria, a quanto pare, sarebbe arrivata direttamente dall'alto – ovvero da Regione Lombardia, che dopo cinque ore di stop totale aveva chiesto una riapertura graduale del presidio ospedaliero.
Un trattamento del tutto opposto a quello toccato all’ospedale di Codogno, riaperto solo dopo una importante bonifica. Così Alzano Lombardo torna a servizio, come se niente fosse. E nonostante nei reparti si contino 96 persone infette tra pazienti e personale sanitario, non vengono adottati provvedimenti di alcun genere.
La mancata zona rossa nella Bergamasca
Alzano, Nembro, Albino. È la cintura della Bergamasca dove il contagio, nella prima fase della pandemia da Covid in Italia, si diffonde impazzito. Perché non è stata prevista una misura di protezione ad hoc su modello del Lodigiano, per questa zona?
Secondo l'ipotesi dei pm di Bergamo, sulla base della consulenza affidata al microbiologo Andrea Crisanti che gestì l'emergenza a Vo' Euganeo in Veneto, la zona rossa a Nembro e Alzano avrebbe potuto risparmiare migliaia di morti: se fosse stata istituita il 27 febbraio 2020, infatti, le vittime in meno in provincia di Bergamo sarebbero state più di 4mila (ovvero 4.148 decessi in meno).