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Chiesto il rinvio a giudizio per l’ex senatore Paolo Romani, accusato di aver sottratto 350mila euro

Chiesto il rinvio a giudizio per Paolo Romani dopo il sequestro di beni per 350mila euro da parte della Procura di Monza: l’ex senatore di Forza Italia è accusato di aver sottratto fondi dal conto del partito. L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 21 settembre.
A cura di Francesca Del Boca
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È stato chiesto il rinvio a giudizio per Paolo Romani, ex senatore di Forza Italia già ministro dello Sviluppo Economico tra il 2010 e il 2011: per l'esponente del partito di Silvio Berlusconi, di cui è stato capogruppo a Palazzo Madama, era già arrivato un provvedimento di sequestro di 350mila euro da parte della Procura di Monza, diviso tra somme in banca e un immobile a Cusano Milanino.

Paolo Romani indagato per peculato

L’udienza preliminare per Paolo Romani è fissata intanto al prossimo 21 settembre a Monza. L'accusa è quella di peculato: mentre ricopriva il ruolo di capogruppo parlamentare del Popolo delle Libertà in Senato, Paolo Romani avrebbe infatti sottratto questi soldi dalle casse del partito, per poi spostarli sul proprio conto corrente personale.

Da alcuni accertamenti sui conti di Forza Italia sarebbe emerso che il senatore, tra il 2013 e il 2018, "avendo la disponibilità di somme di denaro giacenti sul conto del partito presso una banca di Palazzo Madama, e intestato al gruppo Forza Italia con delega a suo favore", si sarebbe "appropriato dell’importo complessivo di 83mila euro "attraverso tre assegni emessi a sua firma e a sé intestati".

Un presunto illecito che si sarebbe ripetuto altre due volte: in un caso la somma contestata è 180mila euro, versati all’imprenditore (anche lui indagato) Domenico Pedico, nell'altro si tratterebbe di 165mila euro a favore della Cartongraf D&K srl, società riferibile allo stesso imprenditore. Il senatore, inoltre, avrebbe inoltre utilizzato circa 95mila euro per spese personali.

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"Ero in assoluta buonafede"

"Riconosco che da un punto di vista di estetica istituzionale si trattò di un'operazione non elegante, ma ero comunque in buonafede", si difese al tempo lui, sostenendo che quelle movimentazioni sarebbero servite per anticipare alcune spese a seguito del Patto del Nazareno, risalente al 2013. E ancora precisò: "Ho agito nella convinzione di utilizzare somme che erano nella mia personale disponibilità. Infatti utilizzai assegni, e quindi pagamenti tracciabili".

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