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Chi ha comprato il pandoro di Chiara Ferragni era davvero interessato alla beneficenza?

Chiara Ferragni ha sbagliato, come lei stessa ha ammesso, a mascherare una sponsorizzazione con la beneficenza. Ma la maggior parte degli acquirenti di quel pandoro voleva soltanto avere un prodotto con il disegno dell’occhio con le ciglia lunghe e non partecipare alla raccolta fondi.
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Chiara Ferragni ha sbagliato. E su questo ci sono pochi dubbi. Lo ha ammesso lei stessa nell'ormai celebre video di scuse sui social. Se ci saranno conseguenze penali, per lei e per la Balocco, sarà la Procura di Milano a stabilirlo. Ed è giusto che i consumatori, ma più in generale tutti coloro che seguono l'influencer, si sentano presi in giro. Ma quanti di quelli che hanno comprato i 290.061 pandori brandizzati lo hanno fatto realmente per fare o almeno partecipare alla beneficenza verso l'ospedale Regina Margherita? E non lo hanno fatto soltanto per avere in casa o regalare un prodotto firmato Chiara Ferragni?

Non che questo giustifichi il comportamento di Ferragni, ma è bene ammettere con sincerità che alla maggior parte degli acquirenti di quel prodotto interessava poco o nulla della beneficenza nel fare quell'acquisto e molto probabilmente lo avrebbe comprato ugualmente, proprio perché era brandizzato da Ferragni, nonostante il prezzo molto maggiorato rispetto al classico pandoro Balocco. Altrimenti, ad esempio, non sarebbero andate sold out in pochi giorni le bottiglie di acqua Evian che l'influencer realizzò a ottobre del 2018.

In quel caso non c'era nessuna beneficenza e il prezzo della bottiglietta da 0,75 cl era di ben 8,50 euro. Si poteva risparmiare qualcosa comprando il set da 12 bottiglie a "soli" 72 euro. Molto di più del prezzo normale dell'acqua Evian che oggi, con di mezzo una pandemia e due guerre che hanno fatto crescere l'inflazione, nel set di 6 bottiglie da un litro costa "appena" 12 euro. Eppure anche in quel caso andò sold out nel giro di pochissimi giorni. E l'elenco dei prodotti potrebbe essere molto più lungo: dai quaderni Pigna alla tuta che ha indossato nel video di scuse sullo scandalo dei pandori, anche quella andata sold out in poche ore.

Ed è proprio questo il punto: né Ferragni né Balocco avevano bisogno di aggiungere l'aspetto benefico all'operazione di marketing per avere più successo e per vendere di più. Il pandoro, così brandizzato, avrebbe venduto ugualmente parecchio, abbastanza perché entrambe le società potessero guadagnare. Inserire la beneficenza non serviva quindi a guadagnare di più, ma a dare un'aura diversa soprattutto all'influencer. Non a caso è stato il suo staff a insistere su questo aspetto che trasformava Ferragni in qualcosa di più delle semplice testimonial, con un evidente ritorno d'immagine.

Nello scambio di mail fra i due staff è infatti l'entourage di Ferragni a voler sostituire la frase "con questo prodotto Balocco e Chiara Ferragni sostengono la ricerca contro i tumori infantili" in "le cui vendite serviranno a finanziare un percorso di ricerca promosso dall’Ospedale Regina Margherita di Torino". Eppure il cachet dell'influencer per questa sponsorizzazione era già stato stabilito e accordato. E quindi perché le sarebbe dovuto interessare aumentare le vendite del prodotto se non variava il suo guadagno?

Infine per capire quanto la volontà di fare beneficenza sia, ahimè, davvero marginale nella scelta dei prodotti da acquistare – panettoni e pandori compresi – basta vedere i dati di vendita di quelli di due grandi associazioni che li propongono ogni anno, compreso questo, per raccogliere fondi utili a sostenere le loro attività. Nel 2022 la Croce rossa ha venduto 69.500 panettoni ed Emergency circa 50.000. Numeri ben lontani dai 290.061 di Ferragni-Balocco. E questo conferma che la maggior parte di quelli che hanno comprato quel pandoro voleva soltanto avere in casa un prodotto con il disegno dell'occhio con le ciglia lunghe.

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Giornalista dal 2012, attualmente sono capo area Milano a Fanpage.it. Già direttore responsabile di Notizie.it, lavoro nell'editoria digitale dal 2009. Docente e coordinatore dell'Executive Master in Digital Journalism dell'Università Umanitaria. Autore di tre libri inchiesta sulla criminalità organizzata. Nel 2019 ho vinto il "Premio Europeo di Giornalismo Giudiziario e Investigativo".
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