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Caso Eni-Nigeria, condannati a 8 mesi i pm De Pasquale e Spadaro: “Hanno nascosto prove alla difesa”

Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro sono stati condannati in primo grado a 8 mesi per “rifiuto d’atti d’ufficio”. Secondo l’accusa, i due pm non avrebbero depositato alcune chat che avrebbero potuto essere rilevanti per la difesa nel caso Eni-Nigeria.
A cura di Enrico Spaccini
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Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale

Il Tribunale di Brescia ha condannato a 8 mesi, con sospensione della pena, il procuratore aggiunto uscente di Milano Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro per "rifiuto d'atti d'ufficio". Stando a quanto ricostruito dalle indagini coordinate dai magistrati Francesco Prete, Donato Greco e Francesco Milanesi, i due tra febbraio e marzo 2021, a ridosso della sentenza del processo per corruzione internazionale Eni-Nigeria, non avrebbero depositato alcune chat dell'ex dirigente Eni Vincenzo Armanna favorevoli alle difese degli imputati poi assolti nel processo a Milano.

Le chat di Vincenzo Armanna sul caso Eni-Nigeria

Il procedimento nei confronti di Eni per corruzione internazionale era nato sull'ipotesi di una presunta maxi tangente da quasi un miliardo di dollari che sarebbe stata pagata a politici nigeriani per la concessione e lo sfruttamento del giacimento petrolifero Opl-45. Secondo l'accusa, De Pasquale e Spadaro non avrebbero preso in considerazione le chat trovate e segnalate dal pm Paolo Storari durante il procedimento parallelo sul "falso complotto Eni".

Le conversazioni in questione mostravano che Vincenzo Armanna testimone e imputato nel processo Eni-Nigeria, aveva taciuto l'esistenza di un pagamento di 50mila dollari a beneficio di due testimoni del processo, tra cui "Viktor", presunto agente segreto nigeriano. Inoltre, quelle chat non depositate avrebbero mostrato che Armanna aveva contraffatto due conversazioni per accusare l’amministratore delegato Eni Claudio Descalzi e il capo del personale Claudio Granata.

"Non esiste monopolio valutativo dell’accusa"

De Pasquale e Spadaro si sono difesi sostenendo di non aver ricevuto da Storari alcun documento "formalmente spendibile che potesse eventualmente essere depositato", ma solo una "bozza" e "alcune osservazioni" di Storari stesso. I due magistrati rivendicano anche il fatto di aver valutato di non avvalersi della facoltà di compiere quell'attività investigativa, poiché i documenti arrivati dal pm sarebbe stato, a loro avviso, non meritevole di approfondimento. Per questo motivo, sostengono, non avevano l'obbligo di depositare alcunché.

Secondo i pm di Brescia, però, questa tesi sarebbe "inaccettabile". Per l'accusa, infatti, "non esiste un monopolio valutativo" e, anzi, "l'attività integrativa di un’indagine va depositata indipendentemente dal fatto che il pubblico ministero l’abbia svolta personalmente o l’abbia ricevuta da altra autorità giudiziaria". L'avvocato Massimo Dinoia, che difende De Pasquale e Spadaro, ha annunciato che presenterà ricorso in Appello.

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