Caso camici in Lombardia, ufficio legale di Aria bloccò la donazione: “Necessario atto notarile”
È stato l'ufficio legale di Aria spa, la centrale acquisti di Regione Lombardia, a non accettare la donazione di camici da parte della Dama, società di cui il cognato del governatore della Lombardia Attilio Fontana, Andrea Dini, è amministratore delegato e la moglie ha una quota del 10%. La fornitura da mezzo milione di euro poi trasformatasi in donazione di 75mila camici e altri dpi a regione Lombardia da parte della Dama è oggi al centro di un'inchiesta da parte della Procura che vede indagati tra gli altri per frode in pubbliche forniture anche il presidente lombardo Fontana, oltre a Dini e Filippo Bongiovanni, dg dimissionario di Aria, e una funzionaria della stessa centrale acquisti.
La mail inviata da Dini lo scorso 20 maggio non era sufficiente
Secondo quanto emerso dalle indagini dunque l'ufficio legale di Aria avrebbe dato parere negativo alla richiesta di donazione di fatto non accettandola per motivi legali: sarebbe stata infatti giudicata come una donazione di "non modico valore" che, secondo il codice, necessita dell'atto pubblico notarile e della presenza di due testimoni. Quindi non era sufficiente la mail mandata da Dini lo scorso 20 maggio all'allora dg di Aria Bongiovanni per revocare il contratto di fornitura. In più, a contribuire al rigetto del cospicuo regalo è stato anche il conflitto di interessi.
Il conto in Svizzera del presidente Fontana
Ieri mattina intanto il governatore Fontana è intervenuto in Consiglio regionale per riferire proprio sul caso dei camici forniti dall'azienda di suo cognato: "Dei rapporti negoziali a titolo oneroso tra Dama e Aria non ho saputo fino al 12 maggio scorso – le parole del presidente lombardo – sono tutt'ora convinto che si sia trattato di un negozio del tutto corretto ma poiché il male è negli occhi di chi guarda ho chiesto a mio cognato di rinunciare al pagamento per evitare polemiche e strumentalizzazioni". Intanto i pm hanno avviato, come atto dovuto, anche verifiche sul conto in Svizzera con depositati 5,3 milioni del presidente della Lombardia, denaro ereditato dalla madre e poi scudato, da cui sarebbe dovuto partire il bonifico di 250 mila euro, poi bloccato in quanto operazione sospetta dall'Uif della Banca d'Italia, a titolo di risarcimento al cognato per il mancato profitto derivato dalla trasformazione della fornitura in donazione.