Caso camici, chiesto in appello il processo per Fontana: “Ragionevole previsione di condanna”
Ancora non è stata scritta la parola fine al caso camici che ha coinvolto il governatore della Lombardia Attilio Fontana: nonostante la richiesta d'invio a giudizio respinta in primo grado dal gup, per l'accusa Fontana e gli altri quattro indagati nella presunta frode nella fornitura di dispositivi anti Covid devono essere processati. E non solo. "C'è una ragionevole previsione di condanna", secondo la Procura generale rappresentata da Massimo Gaballo.
Adesso toccherà ai difensori prendere la parola durante il processo d'appello, il prossimo 5 maggio: la decisione finale, invece, dovrebbe arrivare per il 19 giugno.
Il caso camici in Lombardia
Il presidente di Regione Lombardia è accusato di frode in pubbliche forniture relativamente all'affidamento da parte di Regione di una fornitura di 75mila camici e altri dispositivi di protezione individuale, avvenuta nell'aprile 2020, alla società detenuta al 90 per cento dal cognato Andrea Dini: vendita per oltre mezzo milione di euro trasformata poi in donazione (e in seguito interrotta) quando sono emerse le prime voci sul conflitto d'interessi del governatore.
Al centro dell'inchiesta dei pm Paolo Filippini e Carlo Scalas si trovano,insieme al governatore, anche il cognato Andrea Dini, titolare di Dama spa che ha presenziato all'udienza, l'ex direttore generale della centrale acquisti della Regione Aria, Filippo Bongiovanni, la dirigente Carmen Schweigl e Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione all'epoca dei fatti.
La richiesta di rinvio a giudizio
La richiesta di rinvio a giudizio, al tempo, era stata però respinta dal gup con una sentenza di non luogo a procedere perché "il fatto non sussiste". Ma l'accusa chiede oggi che si vada in aula: "le condotte in contestazione", si legge nel ricorso dei pm, "furono funzionali alla tutela degli interessi personali del governatore Attilio Fontana e di quelli economici della Dama spa".
E soprattutto, sempre secondo l'accusa, avrebbero avuto "l'esito di posporre l'interesse pubblico (alla completa e tempestiva esecuzione della fornitura) ad interessi privati convergenti degli imputati Fontana e Dini, con il concorso degli altri imputati, chiamati a dare esecuzione delle disposizioni del presidente della Regione Lombardia".