Caryl Menghetti alla famiglia del marito ucciso: “Capisco l’odio. Oggi vi affido la mia bambina”
"È successa questa grossa cosa. Nemmeno io posso, riesco a dare una spiegazione. Un giorno, se vi andrà di vedermi, ne potremmo parlare uno davanti agli altri". Così inizia la lettera, scritta a mano, che Caryl Menghetti ha fatto recapitare alla famiglia del marito ucciso nella notte dello scorso 26 gennaio a Martinengo (Bergamo). L'uomo, Diego Rota, è morto sotto i colpi di 25 coltellate: stava dormendo quando è stato sorpreso dalla furia della moglie – che poche ore prima era stata visitata in Psichiatria a Treviglio, in preda a deliri contro il marito.
"Se almeno alla bambina volete ancora bene, sappiate che mai (e quel “mai” è sottolineato, ndr) vi impedirò di farvela vedere", ricorda la 46enne ai cognati nella lettera anticipata da Corriere Bergamo. La donna, ora, si trova ricoverata in una struttura protetta a Torino, mentre la figlia di 5 anni della coppia è attualmente affidata ai nonni materni. Nei suoi confronti è appena stata disposta una consulenza che ne accerti definitivamente le effettive condizioni mentali. "Mi sono sempre fidata di voi e vi voglio tuttora bene, anche se capisco l’odio nei miei confronti. La nipote è anche vostra e sapete perfino preferisco che lei stia con voi. Dovessi mancare anch’io, vorrei restasse sotto la vostra tutela. Se la vorrete, chiederò come fare".
Secondo la prima ricostruzione, non vi sarebbero state criticità nel rapporto di coppia. A incidere sullo stato emotivo di Caryl sarebbero state piuttosto problematiche legate al lavoro e a difficoltà personali che si erano manifestate dopo una tanto desiderata e travagliata gravidanza, ottenuta dopo anni e anni di tentativi e portata a termine solo grazie all'intervento della fecondazione assistita. Problemi che erano emersi in maniera acuta già tre anni fa, quando era stata sottoposta a un Tso: ciononostante, non risulta che Caryl Menghetti fosse in cura da un professionista.