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Elezioni politiche 2022

Carlo Cottarelli (Pd): “Per risolvere il problema energetico non escludo di investire sul nucleare”

In un’intervista a Fanpage.it, Carlo Cottarelli spiega che “dobbiamo intensificare la ricerca verso un nucleare più pulito perché non possiamo escludere a priori che quella possa essere la soluzione”.
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Carlo Cottarelli
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Il suo nome era già emerso come possibile sfidante di Attilio Fontana quale governatore della Lombardia. Poi, con la caduta del governo, la candidatura di Carlo Cottarelli è stata riciclata dal Partito democratico come capolista a Milano per le elezioni politiche. La sua preparazione da economista lo ha infatti reso il nome buono per tutte le occasioni per il partito guidato da Enrico Letta, anche se non manca qualche divergenza di opinione con il leader del Pd.

Il problema del gas è il primo che dovrà affrontare il nuovo governo. La maggior parte delle soluzioni sono a medio-lungo termine, ma le famiglie e le imprese italiane non hanno tempo di aspettare. Come intervenire immediatamente?

C’è un medio termine in cui dobbiamo liberarci dal gas russo, forse già nell’autunno del prossimo anno. Ma il vero problema è come eliminare sul lungo termine le emissioni del gas. È chiaro che le energie rinnovabili sono la soluzione, ma con le tecnologie attuali abbiamo il problema dell’instabilità della fornitura.

Io non escluderei di investire nella ricerca sul nucleare. È chiaro che un ritorno al nucleare adesso richiederebbe un nuovo referendum, però dobbiamo intensificare la ricerca verso un nucleare più pulito perché non possiamo escludere a priori che quella possa essere la soluzione.

Non le sembra ci sia un accanimento nei confronti delle società che producono e distribuiscono energia e gas? Crede che gli extraprofitti incidano davvero in maniera importante sui prezzi?

Chi produce energia da fonti rinnovabili non ha subito l’aumento dei costi di produzione, eppure vende l’energia come se fosse prodotta con il gas. Con loro sarebbe importante contrattare un prezzo più basso.

Resta il fatto che le compagnie petrolifere, come l’Eni, stanno facendo grossi profitti, che bisognerebbe cercare di intercettare.

Secondo lei cosa non funziona dell’attuale sistema fiscale e come andrebbe riformato?

Il sistema fiscale è troppo complicato. Però la semplificazione di un sistema fiscale moderno non dipende dall’avere una o cinque aliquote. Ci vuole la volontà politica di rendere più semplice il calcolo della percentuale di tasse da pagare. La semplificazione non richiede quindi la flat tax: non c’è nessun motivo per cui per semplificare devi far pagare il 15 per cento sia a chi ha un reddito di 30mila euro oppure di 600mila.

La flat tax che propone la Lega costa 60 miliardi e comprende anche la riduzione della tassazione dei profitti delle imprese. Per finanziarla sarebbe necessario tagliare i servizi pubblici di cui non beneficia chi può andare a curarsi in Svizzera, perché ha 600mila euro di reddito, ma chi ha un reddito di 30mila e quindi in Svizzera non ci può andare.

Non sarebbe meglio rivedere gli scaglioni soprattutto tra le fasce di reddito più basse?

La proposta del Pd è quella di ridurre il cuneo fiscale in via progressiva, con l’idea di tagliare mille euro all’anno di tasse e contributi. La proposta potrebbe essere finanziata con la lotta all’evasione.

Non è vero che l’evasione non si può combattere, perché un po’ lo è stato fatto: la fatturazione elettronica e altre cose hanno consentito di recuperare dieci miliardi di Iva evasa e con quello già si è fatto un primo taglio del cuneo fiscale.

Sul sistema fiscale incide anche il costo del lavoro, come si può intervenire?

Tagliando il cuneo fiscale si riduce il costo del lavoro. Poi, ovviamente, se tutto il taglio del cuneo fiscale va nelle tasche dei lavoratori, il costo del lavoro per l’imprenditore non cambia e va interamente a vantaggio del lavoratore.

Ma io non credo che ci sia in Italia un problema di competitività legato al costo del lavoro, c’è un problema di salari e reddito degli italiani che non aumenta da vent’anni. E non aumenta da vent’anni perché l’economia non è cresciuta. Da qui diventa cruciale fare gli investimenti e le riforme previste dal Pnrr.

Crede che il reddito di cittadinanza abbia realmente portato molte persone, come dicono alcuni partiti, a voler stare sul divano senza andare a lavorare? E quindi il salario minimo sarebbe una soluzione a questo problema?

Che ci possano essere stati casi è probabile soprattutto in alcune parti d’Italia dove il costo del lavoro è più basso. Negli altri Paesi, queste forme di reddito minimo garantito sono gestite a livello locale per aver meglio chiare le condizioni del mercato del lavoro, del costo della vita e della qualità dei servizi.

Il salario minimo non diventa la soluzione a questo problema, ma è necessario perché c’è una parte dei lavoratori che non sono protetti dai contratti nazionali.

Uno dei rischi del salario minimo è però che incentivi il lavoro in nero.

No, l’incentivo al lavoro in nero è dato dall’insieme di altre cose. La questione sta nel trovare un importo equilibrato: né tanto basso da essere irrilevante, né tanto alto da creare disoccupazione o la scomparsa dei lavori.

Il programma del Pd indica 9 euro lordi all’ora, ma si dice anche che questa stima attuale andrebbe rivista. Quindi non è un numero fisso. Se si andasse in questa direzione credo che ci dovrebbe essere anche un parere di tecnici indipendenti su quello che è il livello appropriato del salario minimo, perché altrimenti diventa una cosa troppo politicizzata e si finirebbe per aumentare il salario minimo ogni volta che c’è un’elezione.

A proposito di salario. Beppe Sala ha riproposto la possibilità di retribuire di più i lavoratori che vivono a Milano, dove il costo della vita è più alto. Secondo lei è una proposta realizzabile? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi?

In linea di principio si può fare, in pratica diventa più complicato. Se gli stipendi non sono adeguati, nessuno verrebbe a vivere in una città dove il costo della vita è elevato.

Naturalmente andrebbe fatto tenendo conto anche di tutti i fattori rilevanti: per esempio, in una città il costo della vita sarà più basso perché la qualità dei servizi pubblici è più bassa.

Quindi ci si potrebbe pensare tenendo conto di questi fattori nella contrattazione secondaria, senza imporre gabbie salariali.

Il suo nome era emerso come possibile candidato per le regionali del 2023, poi capolista per il Pd. Con l’elezione in Parlamento possiamo escludere una sua candidatura in regione?

Guardi non lo so, al momento proprio non ci sto pensando alla candidatura della Regione. Neanche prima ci avevo pensato tanto. Non ho mai avuto un’offerta diretta. Avendo appreso la notizia dai giornali, mi sono messo a leggere per farmi un’idea, però poi ho completamente chiuso la testa rispetto a questa ipotesi. Ora penso soltanto alle elezioni del 25.

In generale, mi sembra che la Lombardia non sia amministrata troppo bene rispetto alle altre regioni del Nord. Non ne faccio una questione di colore politico, perché il Veneto che è governato dalla Lega è amministrato meglio. Vivendo in Lombardia, vivendo a Milano, ma avendo casa a Cremona, li sento direttamente i problemi della Lombardia.

Intervista realizzata in collaborazione con Fabio Pellaco.

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