Il prossimo primo ottobre si svolgerà il congresso regionale del Partito democratico. Sarà l'occasione per eleggere, con il voto ristretto agli iscritti, le persone che guideranno il partito in Lombardia e a Milano, ma soprattutto dovrebbe essere un'occasione di confronto e di analisi delle (tante) criticità da affrontare. Un confronto che, allo stato attuale dei fatti, difficilmente avverrà realmente, visto che le varie correnti si sono già messe d'accordo e hanno deciso di esprimere un candidato unico sia per la poltrona di segretario regionale che per quella di segretario provinciale.
Per il primo posto, attualmente occupato da Vinicio Peluffo (che parrebbe pronto ad andare al Parlamento Europeo, insieme a Fabio Pizzul, Caterina Sarfatti e altri), concorrerà unicamente la deputata (e già segretaria cittadina) Silvia Roggiani, per il secondo Alessandro Capelli, già nella segreteria provinciale Dem e ovviamente molto sponsorizzato da Roggiani. Entrambi sono nella corrente di Elly Schlein e su questo non ci sarebbe nulla di strano, visto che questo è il nuovo corso del Partito democratico.
In ogni caso sarebbero, quindi, facilmente loro due a vincere le elezioni interne al partito, anche in presenza di un altro candidato. Ma, probabilmente per non rischiare, la classe dirigente del partito avrebbe deciso di organizzarsi prima, lontano delle luci del congresso, onde evitare spiacevoli sorprese, e spartirsi già i ruoli. E poco importa che questo disincentiverà il dibattito all'interno di un partito che, in teoria, dovrebbe essere quello che più di tutti incentiva il confronto. Ma che soprattutto dovrebbe trasformare quel dibattito in un progetto di rinascita, vista la crisi in cui versa da ormai diverso tempo.
E, invece, anche per le elezioni interne a Milano e in Lombardia si ricrea la stessa identica situazione che si era verificata con le ultime elezioni regionali, dove una parte degli elettori di centrosinistra continuava a chiedere le primarie per scegliere il candidato e il partito ha fatto di tutto, compreso fare molto tardi, per evitarle e imporre un candidato "dall'alto". Se poi Majorino fosse o non fosse il miglior candidato per il Pd alle regionali poco cambia, il metodo è rimasto lo stesso. E i risultati delle elezioni (quelle vere, non quelle interne al partito) sono evidenti.
Un meccanismo perpetuato anche tramite alcuni stratagemmi, tipo quello di fissare la data per la presentazione della candidatura (con almeno 200 firme a sostegno) entro il 26 agosto, quando – soprattutto a Milano – sono tutti in vacanza e la città si svuota. Così finisce per riuscire a candidarsi solo chi ha l'appoggio della dirigenza del partito e chi fa accordi con gli eventuali sfidanti, come sembrerebbe che potrebbe succedere fra Capelli e Santo Minniti, attuale presidente del Municipio 6 di Milano, e come sicuramente è successo fra Roggiani ed Emilio Del Bono, a cui è stata promessa la candidatura come Presidente della Regione Lombardia alle elezioni del 2028 se avesse ritirato il suo nome della lizza per il ruolo di segretario regionale.
E così il Partito democratico, almeno in Lombardia, appare già lottizzato per i prossimi cinque anni, con accordi e disaccordi gestiti dietro le quinte dalla classe dirigente escludendo totalmente la base, nonostante siano quei pochi elettori che gli sono rimasti. E se non si vuole finire per perdere anche quelli, il primo passo potrebbe essere proprio rimandare la data per la presentazione delle candidatura e provare, dalla Lombardia, a rilanciare un confronto interno che veda rappresentate le varie anime del partito.