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Covid 19

Brescia, direttore Spedali Civili: “Occupati oltre 300 posti letto, ne stiamo convertendo altri”

La provincia di Brescia, attualmente in zona arancione, ha avuto un aumento considerevole di contagi da Covid-19. Il territori è inoltre tra quelli più colpito dalle varianti, in particolare quella inglese. Alcuni ospedali hanno dovuto trasferire i loro pazienti in altre province. Non è il caso però degli Spedali Civili di Brescia, che registrano comunque un incremento dei casi. Il direttore sanitario, intervistato da Fanpage.it, rivolge un appello alla popolazione: “I nostri medici e infermieri sono eccezionali. C’è stanchezza, ma anche capacità di lavorare insieme. Alle persone diciamo di aiutarci rispettando le regole. Noi vogliamo reparti vuoti, non perché vogliamo lavorare di meno ma perché significherebbe che c’è meno bisogno”.
A cura di Ilaria Quattrone
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(Immagine di repertorio)
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"In questo momento c'è tensione, ma c'è anche attenzione. C'è stanchezza però si spalleggia e si sta insieme. La capacità di saper lavorare insieme non alleggerisce la situazione, ma ci rende più sicuri nell'affrontare le difficoltà": a dirlo a Fanpage.it è il direttore sanitario degli Spedali Civili di Brescia Camillo Rossi, che spiega come al momento – rispetto ad altri ospedali della provincia che hanno trasferito i pazienti in altre province lombarde – nei presidi sanitari dell'Azienda Socio Sanitaria vi sia un flusso stabile di ricoveri senza un particolare situazione di intasamento in pronto soccorso. La provincia, attualmente in zona arancione rafforzata, registra da due giorni oltre 900 casi di contagi ed è tra quelle maggiormente colpita dalla variante inglese.

Direttore siete stati costretti a trasferire pazienti in altre strutture ospedaliere?

No, al momento gli Spedali Civili non hanno trasferito pazienti in altre strutture. Abbiamo superato i 300 posti letto covid in questo momento e abbiamo in programma di convertire altri posti letto. C'è però un flusso stabile e nessuna situazione di intasamento in pronto soccorso considerato che siamo anche un hub per tutti i tipi di pazienti dai grandi traumi agli infarti fino alle partorienti. Ogni giorno qui abbiamo 130 pazienti, di questi circa il 25 per cento è positivo al Covid e solo la metà viene ricoverato. Per ora non abbiamo nessun tipo di maxi afflusso. Ovviamente questo non significa che non ci sia una diffusione del virus all'esterno.

Quanti pazienti con variante avete? 

Noi accogliamo pazienti a prescindere dalla variante. Abbiamo visto che c'è una crescita di casi con variante inglese, che incide sempre di più ed è prevalente.

Rispetto alla seconda ondata i pazienti presentano sintomi peggiori?

No, anche perché non esiste una interruzione tra la seconda e terza ondata: noi da un punto di vista dei nostri ospedali abbiamo avuto un picco di 400 pazienti ricoverati a novembre, poi siamo scesi a 200 e risaliti attorno ai 300. Non siamo mai andati sotto, noi abbiamo sempre lavorato e sempre registrato la presenza di pazienti Covid. La diversità sta nel fatto che mentre a novembre c’era una parte di pazienti che arrivava dall’area dell’ovest della Lombardia e adesso sono per il 95 per cento dell’est della Lombardia, tra cui anche la nostra provincia.

Che clima si respira all'interno dei reparti?

I nostri colleghi sono eccezionali. I medici e gli infermieri non si risparmiano. Sono persone che hanno famiglia e hanno timore come tutti. Noi siamo stati vaccinati tutti quanti, ma nonostante questo c'è sia tensione che attenzione. C’è stanchezza, però ci si spalleggia e si sta insieme. La cosa che si sta vedendo è la capacità di saper lavorare insieme, che non alleggerisce ma rende più sicuri nell’affrontare le difficoltà. Questo credo che sia importante sottolinearlo.

Che appello fareste alla popolazione?

Ci auguriamo che la popolazione rispetti le regole, come noi. Anche noi – anche se per poche ore – siamo fuori dall’ospedale e in quelle ore le rispettiamo. Questo deve generare non il timore, ma un modo di vivere coerente. Certe varianti sono più infettive e risentono dalla distanza e non ci piace vedere che, quando usciamo dall’ospedale, ci siano assembramenti o gente che non utilizza mascherine. Lo sappiamo che c'è una stanchezza generale, ma noi vogliamo rimanere vuoti, non perché vogliamo lavorare di meno ma perché significherebbe che c’è meno bisogno. L’invito è che ciascuno faccia la sua parte. È vero che non ci si salva da soli, ma si dipende gli uni dagli altri nella modalità in cui si rispettano le norme di sicurezza.

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