Brescia, assolto femminicida che uccise la moglie a coltellate: per il giudice è stato un “delirio di gelosia”
È stato assolto Antonio Gozzini, l'uomo di 80 anni che un anno fa uccise la moglie, Cristina Maioli, a coltellate. La Corte d'Assise di Brescia lo ha ritenuto non colpevole perché, al momento dei fatti, non era in grado di intendere e di volere a causa di un totale vizio di mente per "un delirio di gelosia". Accolta dunque la richiesta del legale difensore dell'imputato, non presente oggi in aula. Il pubblico ministero, al contrario, aveva chiesto l'ergastolo.
Prima la uccide e poi tenta di suicidarsi
La donna, morta nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 2019 nel suo appartamento di via Lombroso, è stata uccisa dall'uomo nel sonno. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, il marito l'ha prima colpita con un martello in testa e poi alla gola con un coltello da cucina. Subito dopo l'efferato gesto, Gozzino ha chiamato un'amica rivelandole quanto fatto: "Ho ammazzato mia moglie". Dopodiché ha tentato di uccidersi tagliandosi le vene. È stata proprio l'amica a dare l'allarme alle forze dell'ordine.
La profonda crisi depressiva
Le indagini hanno consentito di scoprire che l'uomo soffriva da diversi anni di una profonda crisi depressiva tanto che il suo avvocato, durante l'udienza preliminare, aveva chiesto il trasferimento del suo assistito nel reparto psichiatrico dell'ospedale di Brescia. Mentre qualche giorno prima del brutale omicidio, la Maioli aveva chiesto dei giorni di permesso da lavoro per motivi familiari probabilmente per assistere il marito. La donna insegnava italiano nell'istituto tecnico in cui ha conosciuto il 70enne che, prima della pensione, aveva lavorato come assistente tecnico nel laboratorio di Fisica.
Uccise la compagna: dimezzata la pena perché spinto da "tempesta emotiva"
Un precedente simile è avvenuto nel 2019 a Bologna. L'operaio Michele Castaldo, accusato dell'omicidio della sua compagna avvenuto a Riccione il 5 ottobre 2016, ottenne uno sconto di pena da 30 a 16 anni. La Corte di assise d'appello motivò la sua decisione affermando che l'omicidio fosse stato scatenato da "una tempesta emotiva". La Procura di Bologna decise allora di fare ricorso in Cassazione. Ricorso poi accolto e che portò a un altro processo. L'ultimo si è concluso recentemente: l'appello bis ha confermato la sentenza di primo grado e l'operaio è stato condannato a 30 anni di carcere. Nella motivazione è stato inoltre precisato che deve essere escluso che "il moto passionale che ha pervaso l'imputato al momento del fatto" possa aver inciso in modo "necessariamente significativo" sul delitto.