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Bilal ha cambiato vita: il baby rapinatore seriale non ruba e non scappa più dalla comunità

Da quando è entrato nella comunità Kayròs di Don Claudio Burgio, Bilal si è integrato con gli altri ragazzi e ha smesso di scappare di notte per andare a rubare. A gennaio potrebbe iniziare anche un corso di italiano.
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Immagine di repertorio
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Se Bilal, il 12enne di origini marocchine diventato famoso lo scorso autunno per le sue continue fughe dalle comunità, continuava a tornare a rubare era una sconfitta per tutti, non solo per lui. La dimostrazione è che, da quando è stato inserito nel giusto contesto, ha smesso di scappare, di commettere furti e anche di drogarsi. Anzi, si sta integrando con gli altri ragazzi e ora potrebbe anche di intraprendere un percorso di studi.

L'arrivo nella nuova comunità

Viste le continue fughe da qualsiasi comunità in cui venisse inserito e soprattutto visti i dubbi sulla sua età, a ottobre era anche finito nel Centro di Prima Accoglienza del carcere di Torino. Ma poi l'esame osseo aveva confermato i dodici anni che lui stesso sosteneva di avere e quindi il giudice lo aveva immediatamente scarcerato. A quel punto è stato affidato alla comunità Kayròs di Vimodrone diretta da don Claudio Burgio, anche cappellano del carcere Beccaria (qui la nostra intervista), e lì ha invece trovato un contesto che gli ha permesso di cambiare vita. E ne è incredulo perfino don Claudio: "Non lo avremmo mai immaginato, una specie di miracolo".

"Quando è arrivato nella nostra comunità era trasandato e in condizioni igieniche precarie. Era strafatto di Rivotril, un farmaco a base di benzodiazepine che compra in Stazione Centrale con pochi soldi. In più c’era la barriera linguistica: non parla bene l’italiano", spiega don Claudio a Il Giorno. Arrivato Kayròs i primi tempi non sono stati facili: "Nelle prime notti si è sempre allontanato: tornava al mattino carico di refurtiva. Consegnava le carte di credito dei portafogli rubati che lui altrimenti avrebbe gettato nella spazzatura. I contanti, a quanto pare, li spediva alla famiglia. Ovviamente segnalavamo tutto alla Procura, ma non gli facevamo alcuna predica".

Ma – spiega don Claudio – "dopo una settimana ha smesso di uscire dalla comunità. Ha cominciato a essere più attento all’ordine e al decoro personale. Gli altri ragazzi del suo appartamento lo hanno tirato dentro alle varie attività; si sono comportati da fratelli maggiori. Soprattutto è lui che ha voluto partecipare ai progetti, ha chiesto di entrare nella squadra di calcio e di giocare a tennis".

La nuova vita di Bilal

Quello che ha funzionato con Bilal, come con molti altri ragazzi ospitati alla Kayròs, è l'approccio: "Qui vige – spiega a Il Giorno – un approccio flessibile, libero, poco formale. Prima viene la persona, poi la regola. I cancelli sono aperti giorno e notte ed è pure possibile tenere con sé il cellulare. All’inizio abbiamo fatto interagire Bilal con i ragazzi maghrebini del gruppo. Abbiamo scelto di collocarlo non nella comunità di prima accoglienza ma in quella “avanzata“ dei 17/18enni, perché i più grandi potessero fargli da esempio".

"Questi ragazzi – continua – hanno bisogno di sentirsi ascoltati, di essere accompagnati in modo concreto: se vedono i fatti, e non ascoltano solo promesse, si fidano un po’ di più. Bilal adesso è molto più sorridente. Ha seguito con entusiasmo in tv l’impresa storica del Marocco ai Mondiali in Qatar. A Natale era al settimo cielo quando ha trovato sotto l’albero un giubbotto che gli piaceva. Sente spesso la madre al telefono". E probabilmente a gennaio inizierà anche a seguire un corso di italiano.

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