Bastonato e denudato per un debito di gioco: la spedizione punitiva organizzata da alcuni ultrà del Milan
L'inchiesta della Procura di Milano "Doppia Curva" del 30 settembre scorso – che ha azzerato i vertici del tifo di Milan e Inter – ha fornito ulteriori dettagli su un pestaggio avvenuto il 5 aprile, a Motta Visconti, un piccolo comune dell'hinterland milanese. È stato accertato che i responsabili dell'aggressione ai danni di un 30enne del posto, siano stati i gli ultras del direttivo della Curva Sud milanista.
La dinamica dell'aggressione
Secondo quanto ricostruito dal quotidiano il Corriere della Sera, il commando composto da 14 ultras milanisti era arrivato all'esterno del bar Celestin, in via Borgomaneri a Motta Visconti, alla ricerca di un 27enne, già noto alle forze dell'ordine, che avrebbe dovuto 10 mila euro al cognato di Alessandro Sticco, conosciuto in Curva Sud con lo pseudonimo di Shrek. Non avendolo trovato avrebbero riversato la loro rabbia su un suo amico che stava trascorrendo la serata in compagnia della fidanzata.
Il malcapitato sarebbe stato trascinato fuori dal locale con la forza, successivamente, sarebbe stato aggredito per alcuni minuti con calci, pugni e bastonate. Tra gli assalitori presenti quella sera ci sarebbero stati nomi di spicco del tifo rossonero tra cui: Francesco Lucci (fratello del leader della Curva Sud Luca Lucci) Alessandro Sticco, Islam Hagag, conosciuto come Alex Cologno e Christian Rosiello, il bodyguard di Fedez.
Ad accanirsi sulla vittima sarebbero stati in particolar modo proprio Sticco e Lucci, che armati di mazza lo avrebbero colpito ripetutamente alle gambe e alla testa. Dopo alcuni concitanti minuti è Islam Hagag a causare un ulteriore umiliazione al 30enne, che sarebbe stato spogliato della felpa e dei pantaloni prima di essere spinto a terra.
Per gli inquirenti si tratterebbe di un'aggressione in stile mafioso
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, l'episodio di Motta Visconti è stata una spedizione punitiva in stile mafioso in cui 4 auto hanno bloccato la via per non fornire possibilità di fuga al malcapitato.
A sostegno di questa teoria, la Direzione distrettuale antimafia ha sottolineato come una delle macchine del convoglio, quella di Islam Hagag, fosse intestata a Domenico Papalia – non presente il giorno dell'aggressione – il 41enne erede di una delle più importanti famiglie di ‘ndrangheta, figlio dell'ergastolano Antonio Papalia, che viene considerato come il più grande boss della malavita calabrese attivo in territorio lombardo.