Architetta si trasferisce a Milano per lavorare in uno studio: “Mi pagavano 500 euro al mese, a volte in nero”
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Cristina (nome di fantasia) è un'architetta che a Fanpage.it ha raccontato una delle peggiori esperienze lavorative vissute in uno studio di architettura di Milano. Anche lei, così come denunciato alcune settimane fa da una interior designer sempre a Fanpage.it, è stata vittima di sfruttamento e costretta a ricevere stipendi da fame.
"Dopo la laurea, sono arrivata a Milano nel 2021 e ho iniziato subito a lavorare per questo studio come dottoressa in architettura. Sono stata chiamata a lavorare con partita iva. Inizialmente la mia retribuzione era di cinquecento euro lordi. Il mio stipendio cresceva di cento euro ogni due-tre mesi. Dopo un anno, ho ricevuto poco più di mille euro lordi", ha spiegato.
"Quando ho iniziato, non avevo un'abitazione fissa a Milano. Ho chiesto quindi di poter lavorare in modalità smart working proprio per cercare una sistemazione stabile. Non mi è stato concesso e sono stata costretta a vivere in un hotel".
Nonostante Cristina lavorasse con partita iva, è stata costretta a seguire regole ferree: "Fin da subito sono stata trattata come una dipendente. Ero costretta ad andare in ufficio da lunedì a venerdì, dalle 9.30 alle 18.30. Spesso terminavo dopo: mi è capitato di rimanere anche fino alle 11 di sera. Dovevamo annotare in un foglio l'orario di entrata e di uscita. Molte volte saltavo la pausa pranzo per poter completare progetti. Sono state ore in più che non ho mai recuperato o che non mi sono mai state pagate".
Non era l'unica a subire questo trattamento: "Chi arriva in ritardo, riceveva sfuriate da parte dei nostri capi. Ci è anche stato detto: ‘Chi arriva alle 9.30, rimane fuori dalla porta'. Dovevamo avvisare quando arrivavamo in ritardo, quando uscivamo prima, quando ci spostavamo per un’ora. Avevamo inoltre un orario di pausa pranzo definito: non era concesso stare fuori per più di un'ora, se non in determinate occasioni e sempre dopo averlo comunicato".
E ancora: "Ho ricevuto continui messaggi fuori dall’orario di lavoro, richieste di entrare prima senza avere possibilità di uscire prima. Non c’era una gestione della propria libertà. Doveva essere tutto regolamentato dai datori di lavoro".
"Mi è capitato di lavorare nel weekend. Nel mio caso, pagato in nero. Ma, in anni precedenti, ci sono stati professionisti che lavoravano nel fine settimana senza ricevere alcuna retribuzione. Non potevi svolgere la tua mansione in modalità smart working, pur avendo firmato un contratto dove era stato specificato che non c'era alcun obbligo a presenziare in ufficio".
L'architetta ricopriva un ruolo di responsabilità: "Coordinavo team. Ero a capo della gestione e delle consegne dei progetti che mi venivano affidati. Ho fatto anche attività di cantiere dove andavo quasi ogni giorno. Si poteva raggiungere il posto con le macchine a noleggio, pagate dallo studio. Chi non aveva la patente o non aveva quella italiana (molti colleghi erano stranieri) doveva sostenere da sé le spese per i mezzi pubblici".
Stanca di questi trattamenti, Cristina ha deciso di licenziarsi: "Quando ho presentato l'ultima fattura superiore al prezzo del primo contratto, mi è stato detto che il mio lavoro non valeva quella somma".
"Ad alcuni colleghi sono stati offerti seicento euro perché, per i capi, il lavoro di queste persone valeva quella cifra. Nei contratti, però, non era stata pattuita una retribuzione basata sulla perfomance, ma mensile e fissa".
E, chi chiedeva un aumento di stipendio, diventava vittima di mobbing: "Col passare del tempo appena si chiedeva un aumento di stipendio alla stipula del nuovo contratto, sempre in un contesto di un aumento di responsabilità ed impegno, iniziavano a demansionare e fare mobbing per portarti a lasciare spontaneamente il lavoro senza che dovessero essere loro a mandarti via. Non ti parlavano più o ti toglievano i progetti. Dal nulla arrivavano altri colleghi a chiederti dove trovare gli elaborati. Spesso erano neo assunti pagati 600/700 euro al mese lordi".
Chi decide di andare via come Cristina, non riesce a ricevere il pagamento delle ultime fatture: "Quasi tutti se vogliono i loro soldi devono ricorrere ad azioni legali. Spesso però alcuni lasciano perdere".