Andrea Piscina rinuncia al ricorso: resta in carcere lo speaker accusato di pedopornografia e violenza sessuale
Rinuncia al ricorso al Tribunale del Riesame Andrea Piscina, il conduttore radiofonico 25enne arrestato lo scorso 13 giugno con le accuse di produzione di materiale pedopornografico e violenza sessuale. La sua avvocata, Valentina Di Maro, si era opposta all'ordinanza di custodia in carcere e l'udienza per discutere l'istanza era stata fissata per domani. Piscina, dunque, resta in carcere dopo che nell'interrogatorio di garanzia davanti alla gip Ileana Ramundo si era avvalso della facoltà di non rispondere.
I bambini e i ragazzi adescati potrebbero essere numerosi
Stando a quanto ricostruito dagli investigatori del nucleo specializzato sui crimini informatici della polizia locale, coordinati dal pm di Milano Giovanni Tarzia, Piscina da metà 2021 a metà 2023 avrebbe adescato bambini e ragazzini d'età compresa tra i 9 e i 14 anni fingendo di essere una 16enne di nome "Alessia", o anche "Anna" e "Sara", promettendo loro di farsi vedere nuda e inducendoli, così, a mostrarsi a loro volta senza vestiti su chat online e a compiere atti di autoerotismo.
Sui dispositivi che sono stati sequestrati all'ormai ex speaker radiofonico di Rtl 102.5 (che lo ha subito sospeso) sarebbero state trovate oltre mille immagini. Al momento sono stati individuate due presunte vittime, ma considerato il materiale rinvenuto potrebbero essere molti di più.
La denuncia e l'arresto
La denuncia che ha fatto partire le indagini risale all'estate del 2023, presentata dalla madre di un ragazzino di 13 anni che già conosceva Piscina. La donna si era insospettita dopo aver notato il figlio che passava più tempo del solito chiuso in bagno con il telefono.
La maggior parte dei bambini sarebbero stati contattati dal 25enne attraverso le piattaforme social Instagram e Omegle. L'accusa di produzione di materiale pedopornografico è dovuta al fatto che le chat sarebbero state cancellate, ma sarebbero state trovate le anteprime delle immagini conservate dallo smartphone. Quella di violenza sessuale perché, anche se c'era consenso della vittima, la ingannava presentandosi con una falsa identità.