“Alessia Pifferi vede la realtà come una fotografia”: come è stata valutata finora la sua capacità mentale
Martedì 10 ottobre i giudici della Corte d'Assise di Milano decideranno se Alessia Pifferi vada sottoposta a una perizia psichiatrica. La donna è a processo perché accusata di aver fatto morire di stenti la figlia Diana, trovata morta a 18 mesi mentre si trovava da sola in casa. La difesa, che sostiene che "Per Pifferi la piccola Diana aveva i suoi stessi bisogni", ha già portato in aula dei documenti su esami diagnostici e valutazioni psichico-forensi successivi all'infanticidio. Oltre ai colloqui con gli psicologi del carcere di San Vittore, dove è reclusa, Pifferi è stata sottoposta a valutazioni psichiatriche dei consulenti tecnici di parte, Marco Garbarini e Alice Quadri.
Così come appreso da Fanpage.it, sono stati due gli esami diagnostici usati per valutare le capacità mentali di Pifferi: il Thematic apperception test e il test delle macchie di Rorschach, effettuati dalla dottoressa Alice Quadri.
"Alessia Pifferi vede la realtà come una fotografia": il test sulla percezione
Alessia Pifferi è stata sottoposta al test Tat, un esame che ha lo scopo di valutare il funzionamento del pensiero, il rapporto con la realtà, la qualità delle difese e la rappresentazione oggettiva delle relazioni.
La dottoressa Alice Quadri, che ha effettuato il test diagnostico, le ha sottoposto tavole che raffigurano persone o luoghi. A partire da quelle immagini, Pifferi avrebbe dovuto raccontare una storia che spiegasse cosa stava succedendo nell'immagine, cosa era accaduto prima e come si sarebbe potuta concludere la scena che stava vedendo.
Per la consulente della difesa, Pifferi non era in grado di elaborare quello che vedeva fino in fondo. "Si è limitata a fornire brevi e scarne descrizioni, per lo più statiche, delle raffigurazioni proposte: una sorta di fotografia della realtà dove gli eventi accadono senza una logica causale".
Secondo la valutazione, Pifferi non distingue le cause e gli effetti, né ha la percezione del trascorrere del tempo. La donna sembra bloccata in "un'immobilità che ha contraddistinto tutto il protocollo, dove non appare una dimensione temporale" – scrive Quadri. Per la dottoressa, l'imputata vede una "continuità delle azioni nel tempo", che "è frutto di una rigidità psichica che si manifesta anche al livello relazionale, riconducibile alle limitazioni cognitive riscontrate".
Nel corso dell'esame, alla paziente è stato chiesto di costruire delle relazioni rispetto alle immagini e alle persone raffigurate nelle tavole. Ma secondo l'esito del test, Pifferi immagina personaggi slegati, senza rapporti affettivi né emozioni. La paziente racconta di "persone che non si guardano, non si parlano, non si aspettano di ricevere supporto o sostegno dall'altro", scrive Quadri.
La conclusione, per la consulente della difesa, è che Pifferi vive in una "dimensione centrata prevalentemente sull'isolamento, inteso come una totale assenza di legami e ritiro da tutto ciò che costituisce una relazione". La donna non sarebbe in grado di immaginare rapporti articolati e personali, ma soltanto "relazioni e affetti stereotipati e non autentici".
Quello che emerge è una persona che oltre a non vedere il tempo che scorre, non coglie il nesso causa-effetto in tutto quello che accade, compresi i rapporti umani. "le emozioni e i vissuti dei personaggi semplicemente accadono, senza collegarsi a fatti interpersonali", si legge nel rapporto.
Il Test delle macchie di Rorschach
Il secondo esame per valutare le condizioni psichiche di Pifferi è stato il test di Rorschach, noto anche come test delle macchie. Alla paziente sono state mostrate 10 tavole bianche contenenti delle macchie di inchiostro cromatiche e acromatiche per valutare diversi aspetti della sua personalità.
Con questo test si approfondiscono aspetti legati alla dimensione affettiva, all'emotività, si può capire meglio come funziona il pensiero e che tipo di immagine ha la paziente di sé e dei rapporti con gli altri.
In queste macchie, Pifferi ha visto soltanto elementi vaghi: nuvole, scarabocchi, schizzi di pennello. Oggetti cioè non dotati di una forma specifica. Per Quadri, questo è segno di "una scarsissima complessità psicologica che indica un pensiero molto semplice, concreto, dotato di limitate capacità riflessive".
Dall'esame emerge che l'imputata ha "capacità di analisi e di sintesi al di sotto della norma". Per i suoi ragionamenti, Pifferi si baserebbe su elementi ovvi ed evidenti, senza elaborazioni personali. Questo, per chi l'ha valutata indica "una limitatezza di risorse ideo-affettive e si traduce in una scarsa capacità di comprendere le sfaccettature dell'esperienza, interna ed esterna e di far fronte alla complessità degli eventi".
Durante le valutazioni psicologiche, Pifferi non è sembrata stressata agli occhi dei tecnici. E anche questo aspetto è stato messo a verbale, perché la mancanza di uno stress in corso "appare stridente non solo con i fatti accaduti e la condizione detentiva ma anche con le stesse verbalizzazioni di Pifferi, che appare più in grado di pensare e descrivere le emozioni piuttosto che viverle e sentirle, così come emerso anche dal Tat", sostiene Quadri.
Le conclusioni dai test
Gli esami diagnostici relativi alla percezione e agli aspetti psicologici, rivelerebbero secondo i tecnici di parte una scarsa capacità di comprendere a pieno le situazioni che Pifferi vive e l'appropriatezza delle azioni che compie.
Per la dottoressa, questi esami rivelano "una scarsissima complessità psicologica indicativa di un pensiero molto semplice e concreto". Pifferi non è in grado di capire a pieno quello che la circonda, ma per lei: "la realtà appare come congelata in uno status quo", senza evoluzioni legate al tempo . "Per lei l'oggi è anche il domani", si legge nel rapporto.
Oltre a questi test, i consulenti di parte hanno esaminato la storia personale dell'imputata, i colloqui con il personale del carcere e le sue reazioni nel corso di diverse conversazioni.