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Alessia Pifferi ha lasciato morire la figlia per “egoismo”: le motivazioni dell’ergastolo

La Corte d’Assise ha depositato le motivazioni della sentenza all’ergastolo per Alessia Pifferi. Secondo i giudici, l’allora 36enne ha lasciato morire la figlia Diana per trascorrere un “lungo fine-settimana con il proprio compagno” rendendosi responsabile di un reato di “elevatissima gravità”.
A cura di Enrico Spaccini
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(foto di repertorio)
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Alessia Pifferi ha "ucciso", anche se non intenzionalmente, la sua figlia Diana di appena un anno e mezzo lasciandola per oltre cinque giorni in casa nel luglio del 2022. In un documento di 53 pagine, i giudici della Corte d'Assise hanno motivato la loro decisione dello scorso 13 maggio a condannare all'ergastolo l'allora 36enne. Per i togati, Pifferi ha agito animata dal "futile ed egoistico movente" di "regalarsi un proprio spazio di autonomia", pur essendo consapevole della "pericolosità per Diana". Per questo motivo, la 36enne è stata condannata per omicidio aggravato dai futili motivi e dal vincolo di parentela.

Le motivazioni della sentenza, firmate dal giudice estensore Alessandro Santangelo e dal presidente della Corte, Ilio Mannucci Pacini, hanno ripercorso gli avvenimenti che hanno preceduto e si sono susseguiti dal 20 luglio del 2022, quando Diana venne trovata senza vita in un appartamento di via Parea a Milano. La piccola, che aveva appena 17 mesi, si trovava in un lettino da campeggio. Accanto a lei c'era solo un biberon e una bottiglietta d'acqua vuoti. Su un mobile vicino, una bottiglietta di farmaco tranquillante. Stando a quanto emerso durante le indagini, Pifferi aveva somministrato la sostanza in piccole dosi alla bambina.

La bambina è deceduta dopo essere rimasta chiusa in casa da sola per cinque giorni e mezza, morendo "di stenti e disidratazione". Pifferi è stata ritenuta colpevole di omicidio, in quanto ne ha cagionato la morte abbandonandola. Un gesto che, scrive la Corte, le ha permesso di passare "un lungo fine-settimana con il proprio compagno", quando invece avrebbe avuto il "prioritario diritto/dovere di accudire la figlioletta".

I giudici hanno anche rilevato come in aula la 36enne abbia tenuto un atteggiamento caratterizzato da "deresponsabilizzazione", accampando "circostanze oggettivamente e scientemente false" e accusando il compagno di "essere stato l'artefice ‘morale' dell'accaduto". Per loro, si tratta di sintomi di una "carente rielaborazione critica", ma Pifferi "aveva certamente coscienza volontà del disvalore della propria condotta".

La condanna all'ergastolo per omicidio, aggravato dai futili motivi e dal legame di parentela con la vittima, per i giudici è la pena più corretta per Pifferi. La 36enne, infatti, si sarebbe resa responsabile di un reato di "elevatissima gravità, non solo giuridica, ma anche umana e sociale".

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