Alessia Pifferi a processo, la Procura: “Non è necessaria una nuova perizia psichiatrica”
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É cominciato oggi, lunedì 10 gennaio, il processo di appello per Alessia Pifferi, la 37enne che in primo grado è stata condannata all'ergastolo per la morte di stenti della figlia Diana di 18 mesi. L'avvocata della donna, Alessia Pontenani, ha chiesto che l'imputata venga sottoposta a una nuova perizia psichiatrica. Secondo il pm, però, non sarebbe necessario: quella fatta durante il primo grado, che aveva certificato la capacità di intendere e di volere della donna, sarebbe già completa e corretta.
Allo scopo di dimostrare l'incapacità di intendere e di volere di Pifferi, la sua avvocata ha quindi presentato in aula la lettera con una proposta di matrimonio ricevuta dall'imputata il 26 agosto 2024 e i messaggi di risposta della 37enne, che aveva accettato l'invito con entusiasmo. Il pm si è però opposto alla presentazione delle missive, che secondo lui sarebbero irrilevanti: potrebbero infatti provare, al contrario, una lucida strategia difensiva.
La perizia psichiatrica
É soprattutto sull'imputabilità della donna, cioè sulla verifica della sua capacità di intendere e di volere, che dovranno esprimersi i giudici della corte di Assise di Appello di Milano. La perizia psichiatrica fatta in primo grado dal dottor Elvezio Pirfo, nominato dalla Corte di Assise, aveva evidenziato in Pifferi "disturbi di tipo dissociativo/psicotico o della sfera affettiva", ma la donna era risultata comunque capace di intendere e di volere. Stando a quanto riportato oggi dal pm in aula, la perizia di Pirfo aveva rilevato in Pifferi uno stato di alessitimia (ridotta consapevolezza emotiva) e l’incapacità di stabilire relazioni mature e adulte, ma nessuna minorata capacità cognitiva.
Il pubblico ministero ha poi aggiunto che la valutazione della capacità intellettiva di una persona non si basa solo sui test diagnostici, ma anche su come la persona si comporta nella vita. Lo stesso Pirfo aveva fatto riferimento alla cosiddetta “intelligenza di condotta”: la capacità di utilizzare intelligenza per affrontare i problemi. Secondo l'accusa Pifferi avrebbe agito in modo resiliente, adattando le sue azioni alle sue necessità. Il pm ha infatti ricordato, a questo proposito, che Pifferi era riuscita a dare a tre persone diverse tre versioni differenti sulla persona con cui aveva lasciato la figlia. Comportamenti, questi, di un soggetto consapevole della gravità delle proprie azioni, che cerca di nasconderle agli altri e giustificarle a se stessa. Un atteggiamento, per l'accusa, molto distante da quello di chi è affetto da deficit cognitivi o dissociazione mentale.
I documenti scolastici di Alessia Pifferi
La difesa ha però chiesto la ripetizione della perizia perché quella svolta in primo grado sarebbe, secondo la legale, insufficiente e incompleta. Dopo la prima perizia, presentata il 23 febbraio 2024, l'avvocata Pontenani ha infatti presentato nuovi documenti scolastici di Pifferi e una cartella delle Unità Operative di NeuroPsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza (Uonpia). Documenti che, secondo la difesa, non sarebbero stati presi in considerazione per la redazione della perizia. Questa ipotesi è stata però smentita dal Pm, che ha detto di aver analizzato le carte attraverso i suoi consulenti e di aver prodotto due relazioni. Secondo il pm, in ogni caso, la documentazione scolastica dimostrerebbe la presenza di disturbi dell'apprendimento e la necessità di un'insegnante di sostegno, ma non l'incapacità di intendere e di volere della donna.
Il test di Wais
A proprio favore, la difesa di Alessia Pifferi ha presentato i risultati del test di Wais, utilizzato per misurare il quoziente intellettivo in età adulta. L'esame aveva diagnosticato all'imputata un QI di 40, pari a quello di un bambino tra i 6 e i 7 anni. Secondo l'accusa, tuttavia, il test non sarebbe attendibile perché effettuato con modalità sbagliate. Lo direbbero anche le relazioni di due consulenti, secondo i quali il test sarebbe stato somministrato a Pifferi con modalità non aderenti alle prassi: non solo non sarebbe stato registrato, ma ci sarebbero anche alcune incoerenze. Anche i documenti scolastici, sostiene il pm, dimostrerebbero che i risultati del test di Wais non possono essere validi: Pifferi infatti non è mai stata bocciata e, anche se non prendeva ottimi voti, con un QI di 40 non avrebbe mai potuto avere la sufficienza nelle varie discipline.
Le parole dell'avvocato della parte civile
Contrario all'utilizzo in aula delle lettere di Pifferi è anche Raffaele De Mitri, avvocato di Viviana Pifferi e Maria Assandri, sorella e madre dell'imputata, parti civili nel processo. Secondo De Mitri i messaggi della donna fotografano un comportamento distante dal suo stato mentale al momento del reato e non sarebbero quindi pertinenti. Ha espresso poi dubbi anche sulla loro attendibilità, visto che Pifferi avrebbe dimostrato a più riprese di mentire. In definitiva, secondo l'avvocato, sarebbero sufficienti e corretti i test psichiatrici fatti nel giudizio di primo grado, secondo i quali Alessia Pifferi non ha deficit cognitivi ma solo di scolarizzazione, era pienamente in grado di intendere e di volere al momento del fatto ma soprattutto è stata in grado di mentire e di simulare al bisogno.
L'avvocato ha poi smentito alcuni elementi, come il fatto che Pifferi non si fosse accorta della gravidanza (perché la madre ne era a conoscenza) e i presunti abusi sessuali subiti dalla 37enne che, secondo De Mitri, sarebbero un elemento introdotto solo per suscitare compassione verso l'imputata, in linea con la logica di mostrarsi per quella che non è al fine di essere deresponsabilizzata.
Le parole della sorella
"Non tutto giustifica quello che si fa – ha detto fuori dall'aula Viviana Pifferi, sorella dell'imputata – io vengo dalla stessa famiglia e ho avuto gli stessi suoi problemi, ma mi sono tirata su le maniche e sono andata a lavorare e ho un figlio. Non l'avrei mai messo in secondo piano rispetto a niente o a nessuno. Io penso che siano state tirate in mezzo delle cose che non c'entrano assolutamente niente con quello che è successo". Riguardo all'atteggiamento dimesso di Alessia Pifferi, la donna ha commentato: "Sicuramente non è lei, e non era lei qando ha risposto quel famoso ‘La prego di non sgridarmi' al pubblico ministero. Non è il carattere di mia sorella"
(Ha collaborato Chiara Daffini)