Ennesima strage familiare. Ennesima furia omicida che si scatena all’interno delle mura domestiche. Il protagonista di questa cronaca di sangue si chiamaAlessandro Maja, 57enne ed affermato architetto conosciuto a livello nazionale e internazionale. Le sue vittime vanno invece sotto il nome ed il cognome di Stefania Pivetta, la moglie, Giulia Maja, la figlia di 16 anni, e Nicolò Maja il figlio di 23 anni. Le prime due morte per mano del primo, l’altro ridotto in gravissime condizioni. Tutti colpiti, forse dopo essere stati narcotizzati, con un martello. Secondo quanto preliminarmente emerso a scatenare l’ira pluriomicida dell’uomo sarebbe stata la volontà di separarsi avanzata della moglie.
Frasi come “non accettava di essere lasciato” “era una persona tranquilla, insospettabile” portano a domandarsi se sia possibile uccidere per il troppo amore o se possa esistere una gelosia capace di annientare il senso di realtà. La risposta è negativa e forse anche ovvia. Andando per deduzione logica è chiaro come nessun tipo d’amore, che possa effettivamente catalogarsi come tale, si manifesti e rivendichi il proprio diritto di esistere attraverso la violenza. In qualunque forma essa si manifesti.
“Vi ho ucciso tutti, bastardi”. È una frase agghiacciante che però descrive pienamente che cosa è accaduto e ci racconta chi è davvero l’architetto Maja. Quest’ultimo, seppur non abbia confessato, mostra spiccati tratti narcisistici che lo hanno verosimilmente indotto ad agire con una ferocia inaudita. Lo ha fatto approfittando della condizione di minorata difesa nella quale versavano i componenti della sua famiglia. Difatti, almeno apparentemente, dormivano.
Ma vi è di più. Stando ad alcune indiscrezioni, non sarebbero visibili lesioni da difesa sui corpi martorizzati. E questo è un dato non trascurabile e capace di insinuare il dubbio che l’uomo possa averli addirittura narcotizzati.
Avvalorando ancor di più l’ipotesi della premeditazione. Maja ha progettato nel dettaglio quando e come colpire. E lo ha fatto nel più barbaro dei modi. Ha utilizzato un martello. Scegliendo, quindi, di elevare quell’attrezzo ad ultimo baluardo per mantenere un minimo di autostima nella sua meschina esistenza.
Niente a che fare con i sentimenti. Alessandro ha inveito nei confronti della sua famiglia perché non accettava di perdere il dominio ed il controllo sulla moglie e, di conseguenza, sui figli. La vita di questi ultimi, nella sua visione distorta, era solo un mezzo per riempire i suoi bisogni ed il suo ego. Di conseguenza, una volta disgregato il nucleo familiare per mano della moglie, nessuno poteva esser più considerato a suo avviso degno di vivere. Tutto perché da quel momento in poi sarebbe stato costretto ad abdicare il ruolo di dominatore. A ciò, inoltre, si sarebbe aggiunta l’umiliazione pubblica derivante della decisione della moglie di separarsi.
In questo dramma, come ultimo colpo di teatro, l’affermato architetto ha concretizzato un timido tentativo di suicidio. Un tentativo per simulare una situazione mentale compromessa ed aprire la strada ad un’ipotetica perizia psichiatrica? Tutto è possibile. Anzi, appare un’ipotesi concreta dal momento che, allo stato attuale, si è avvalso della facoltà di non rispondere.Da tutti descritto come un padre amorevole che aveva costruito negli anni la famiglia del mulino bianco. Ma le famiglie perfette e fiabesche non esistono neppure nei film. E questa terribile pagina di cronaca ne è l’ennesima conferma.