Alessandro Maja, dietro la strage di Samarate le difficoltà economiche e un progetto sbagliato
Continuano le indagini sul caso di Samarate, il piccolo comune in provincia di Varese dove il 57enne Alessandro Maja nella notte del 4 maggio ha ucciso la propria moglie Stefania Pivetta (56 anni) e la figlia 16enne Giulia, e ferito in modo grave il primogenito Nicolò (23). Gli inquirenti stanno insistendo sulla pista economica. Chi conosce il geometra, che si presentava come architetto, Maja parla di pesanti e insanabili debiti, dei quali però non è ancora stata trovata traccia. Per questo motivo, sono stati ascoltati nei giorni scorsi anche i suoi commercialisti.
I conti correnti di Maja e il gesto premeditato
Ne aveva due: uno che si occupava dell'attività da imprenditore e un altro che gestiva gli affari di famiglia. Una scelta che fanno in tanti, ma che segna in modo più profondo il solco che aveva tracciato per dividere la sfera lavorativa da quella famigliare. Le indagini ora stanno riguardando i movimenti dei conti correnti del geometra 57enne, alla ricerca di quell'evento che ha fatto crollare le sicurezze economiche di Maja. L'unico elemento, per ora, che faccia pensare a un gesto premeditato è il comportamento dell'uomo in quella mattina del 4 maggio. Erano le quattro di mattina quando ha colpito al volto e al capo i suoi famigliari con un martello e un cacciavite, uccidendone due e ferendo il terzo (Nicolò è ancora ricoverato in gravi condizioni, per lui si temono conseguenze a livello neurologico). Dopo tre ore e mezza, è uscito in mutande sul balcone della sua villetta di Samarate urlando: "Finalmente ci sono riuscito".
Un progetto andato male
Alessandro Maja è stato poi ricoverato per aver tentato il suicidio. Ancora con quel martello, e poi con un trapano e un coltello, si era procurato delle ferite poi rivelatesi superficiali. Forse un ripensamento dell'ultimo minuto. Dopo due settimane, però, rimane ancora da capire se l'ira di Maja è stata scatenata da un elemento preciso, o se ormai era entrato in una spirale fatta di mania di persecuzione e auto suggestione che lo ha condotto a concepire la strage come estremo atto liberatorio. Come raccontato da alcune persone che lo conoscevano nell'ambiente lavorativo, il 57enne potrebbe aver risentito di un progetto di ristrutturazione andato male. Maja si era convinto di un completo fallimento. Aveva sbagliato a far intervenire maestranze varie per sistemare cose che, invece, andavano distrutte. Sembra anche che il denaro per il loro intervento lo aveva anticipato di tasca sua. Fatto sta che la nota catena che gli aveva commissionato il lavoro ha dovuto rimandare l'inaugurazione del locale, non avendo gradito l'opera finale. Maja temeva anche una penale che avrebbe pesato sulla sua condizione economica.