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Omicidio di Giulia Tramontano

Impagnatiello e gli uomini che uccidono le donne sono troppo tutelati, dice l’avvocata Iannuccelli

“C’è un presupposto nel nostro sistema giuridico: un garantismo estremo per l’imputato”: a dirlo in un’intervista a Fanpage.it è Barbara Iannuccelli, avvocata dell’associazione Penelope, che ha analizzato il caso di Giulia Tramontano, uccisa dal compagno Alessandro Impagnatiello, e quelli di altre vittime di femminicidio.
A cura di Olga Mascolo
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Giulia Tramontano, 29 anni, incinta di 7 mesi, occhi profondi più del mare, è morta. Uccisa sabato scorso tra le 19 e le 20, il suo corpo sfregiato, per metà carbonizzato in seguito a goffi tentativi di sbarazzarsi del cadavere. Il carnefice è l'uomo con cui progettava una famiglia.

Alessandro Impagnatiello, che si copre col cappuccio per schivare le telecamere dei giornalisti, ma nelle foto sui social di un passato recente tiene un drink in mano, con soddisfazione: il suo lavoro, fino a ieri faceva il barman nella Milano da bere patinata. Giulia commentava così su Facebook un fatto di cronaca: “L'uomo potrà sfuggire alla giustizia umana, ma non a quella divina”.

Noi non lo sappiamo se c'è una giustizia divina, ma sappiamo però che ci dovrebbe essere la giustizia umana, con la G maiuscola, per le vittime di femminicidio (e in generale, omicidio). Fanpage.it ha intervistato a questo proposito Barbara Iannuccelli, avvocata dell'associazione Penelope, da sempre a fianco delle vittime di violenza.

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Giulia, Thiago il suo bimbo mai nato, e la famiglia avranno la giustizia che meritano?

C'è un presupposto nel nostro sistema giuridico: un garantismo estremo per l'imputato. Per un avvocato è più semplice difendere un imputato che una persona offesa. L'imputato è super tutelato. Mi viene in mente un caso di cui mi sto occupando, l'omicidio di Cristina Gallo.

L'imputato per l'omicidio che ora è ai domiciliari con il braccialetto elettronico ci ha chiesto tre ore di aria per andare a fare ginnastica al parco. Noi abbiamo ricevuto l'istanza il giorno in cui i Ris ci hanno mostrato la violenta ricostruzione dell'omicidio.

Questo la indigna?

Si tratta di una indignazione emotiva, che un avvocato non dovrebbe avere. Però quando sei dalla parte della persona offesa senti il dolore. Condividi il dolore, e quando sei nella scena del crimine e ti rendi conto di tutte le cose che la vittima ha subito.

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Giulia avrà giustizia?

La giustizia certa che avrà Giulia è che per il reato contestato al suo aguzzino non si può chiedere il rito abbreviato e quindi lo sconto di pena. Avrà un processo in Corte d'assise e rischia l'ergastolo.

Poi però andrà fatta la valutazione dello stato mentale. E poi bisognerà verificare se lo stato di salute di Impagnatiello è compatibile col regime carcerario.

Lei ha seguito molti casi di femminicidi, tra cui l'omicidio di Saman. Lei difende gli interessi del fidanzato.

In quel caso la mia indignazione emotiva non è un elemento negativo. Ho voluto partecipare anche all'autopsia di Saman perché non volevo essere distaccata, volevo un contatto visivo e fisico. Quanto al “femminicidio” non esiste al livello del codice, che non conosce sesso, esiste solo il reato di omicidio.

Ma per lei il codice rosso, cioè quel protocollo di protezione che si attiva quando una donna viene maltrattata e riesce a denunciare, funziona?

Il codice rosso è scritto benissimo sulla carta, ma non funziona nella realtà. Ho seguito ultimamente un tentativo di matrimonio combinato di una ragazza indiana, poteva essere un'altra Saman. Siamo stati 5 ore in Commissariato ad aspettare la burocrazia. E invece bisognava attivarsi subito per mettere in protezione la giovane. Il codice è rimasto sulla carta. In quel caso è funzionato l'impatto mediatico, e si è attivata la rete.

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Giulia forse aveva cercato conforto nell'altra donna, l'amante?

Io non credo nella solidarietà dell'amante, dell'altra donna, in genere. Lui aveva una doppia vita, come non ha potuto accorgersene l'amante? Non la invitava mai a casa? L'altra secondo me sapeva benissimo.

A Bologna un uomo di 64 anni, medico della Virtus, ha ammazzato la moglie e la suocera, per l'amante trentenne che mandava alla moglie mail con foto di loro insieme. Ci sono donne che entrano nella vita degli altri e la pretendono.

Il codice rosso predispone anche il braccialetto elettronico, in alcuni casi di divieto di avvicinamento. Ma è vero che non ce ne sono abbastanza?

Assolutamente no, non ce ne sono. Anche il caso della Matteuzzi (donna uccisa a Bologna sotto casa): aveva denunciato ad agosto, nessuno aveva letto le carte con attenzione e non sono stati attivati provvedimenti seri per impedire al suo aguzzino di ammazzarla.

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C'è un'incongruenza tra il codice rosso e la realtà. Che cosa manca?

Servono i corsi di formazione, che sono una cosa diversa. Si parla tantissimo di femminicidio, però poi se porti una ragazza a denunciare, l'uomo che riceve la denuncia chiede: “Dove vi siete conosciuti?” e la ragazza risponde: “Su Tinder”, lì scatta il giudizio morale di chi accoglie la denuncia. Manca quasi che dicano alla ragazza: “te lo sei andato a cercare tu”. Ci vogliono corsi con persone specializzate.

Mancano i soldi?

Se non ci sono soldi per i braccialetti elettronici, figuriamoci per i corsi. Le associazioni come Penelope vanno avanti con le donazioni, ma le Regioni o lo Stato non mettono a disposizione nulla. Ci sono funzionari pubblici pagati migliaia di euro, però intanto le donne muoiono.

Con Penelope mi viene in mente il caso di una donna scomparsa. Una sua amica prova a denunciare, ma la denuncia viene rigettata perché non era un familiare a sporgere denuncia. Non è più così dal 2012. Fortunatamente abbiamo trovato la donna, anche se in condizioni pietose.

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Giulia però ci viveva lì con l'aguzzino, quindi non c'entra, non poteva evitare di incontrare l'uomo. Nel suo caso non c'erano denunce, non c'erano campanelli d'allarme. C'era un uomo con una seconda vita. La donna in generale deve andare via di casa quando succedono questi fatti, ma è difficile, perché si fida dell'uomo, pensa di conoscerlo. E invece.

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Agli occhi dell'opinione pubblica Alessandro Impagnatiello è un mostro. Esiste davvero riabilitazione per uno che uccide così?

È un obiettivo importante, la funzione rieducativa della pena sta nell'articolo 27 della nostra Costituzione. Nella realtà ho visto persone uscire dal carcere così come sono entrate. Non è detto che Impagnatiello si penta. Potrà raccontare di essersi trovato in uno stato di costrizione psicologica.

Io ho seguito il caso di un uomo condannato all'ergastolo, poi la pena è stata ridotta a 16 anni perché uccise in seguito a una “Tempesta emotiva”. Il gruppo delle associazioni contro la violenza sulle donne fuori dal tribunale aveva scritto un cartello: “Tempesta emotiva? Un cazzo!”. Mai frase fu più degna.

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