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“Ai colloqui mi chiedono di mia figlia, e non delle mie competenze”: Teresa non trova lavoro in quanto mamma

“L’Italia non è un Paese per mamme. Dicono che qui non si fanno più figli. Ma se mettiamo le donne in condizioni di dover scegliere tra lavoro e famiglia, di non rimettersi subito nel mondo del lavoro, di dover sostenere tutto il peso della gestione casalinga… cosa ci possiamo aspettare?”, la denuncia di Teresa, 30 anni, a Fanpage.it.
A cura di Francesca Del Boca
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"L'Italia non è un Paese per mamme. Mi fa ridere quando leggo che in Italia non si fanno figli. Se mettiamo le donne in condizione di dover scegliere tra lavoro e famiglia, di non rimettersi nel mondo del lavoro senza perdere troppo tempo, di dover sempre sostenere tutto il peso della gestione casalinga… cosa ci possiamo aspettare?". A parlare è Teresa M., 30 anni, napoletana residente da anni a Garbagnate Milanese.

"Pochi mesi dopo la nascita della mia bambina, nell'estate del 2022, ho dovuto lasciare il lavoro. Gli orari rendevano la gestione della piccola molto complicata, e tutto il mio stipendio era interamente destinato ad asili e babysitter. Che senso aveva? Mi sono detta: tanto ritornerò presto nel mondo del lavoro, ne troverò sicuramente un altro più adatto. Non l'avessi mai fatto".

Oggi è disoccupata da quasi un anno, e tutte le settimane invia curriculum. "A fare un secondo figlio, adesso, ci penserei non una ma dieci volte. Io non voglio fare solo la mamma e la casalinga, nella vita".

Un semplice aneddoto personale? No, una vera e propria emergenza nazionale – dal momento che quasi una donna su cinque tra i 18 e i 49 anni non lavora più dopo la nascita di un figlio: si parla del 18 per cento delle lavoratrici in Italia.

Più della metà di loro lascia infatti il posto perché non riesce a conciliare lavoro e cura dei figli (52 per cento), il 29 per cento per mancato rinnovo del contratto o per licenziamento, il 19 per cento per valutazioni di opportunità e convenienza economica. Le donne che hanno trovato lavoro dopo la nascita di un figlio, invece, sono solo il 6 per cento. A fotografare questa enorme dispersione di capitale umano, gli ultimissimi dati Inapp.

Un passo indietro. Che lavoro facevi, prima?

Io e mio marito abbiamo deciso di lasciare la nostra Napoli nel 2018, e di trasferirci a Milano. Una scelta di testa, dettata ovviamente dal lavoro: a Napoli ambedue lavoravamo in condizioni precarie, mentre qui abbiamo trovato fin da subito impieghi stabili, sicuri e ben pagati. Io facevo la commessa in un atelier di abiti da sposo. Mio marito, invece, il tecnico specializzato in condizionatori e caldaie.

Cosa succede, una volta arrivati a Milano?

Ho trovato un impiego come addetta alle vendite in una grande catena di abbigliamento in centro a Milano, e poi in un atelier per spose lì vicino. Avevo un contratto a tempo indeterminato, mi trovavo bene. Poi sono rimasta incinta, e sono andata in maternità.

Al ritorno sul lavoro ho chiesto un part-time, salvo poi scoprire che in Italia non c'è una legge che lo disciplini: a decidere è solo l'azienda. Così mi hanno concesso una minima riduzione d'orario, sì, ma con turni per me comunque scomodi per la gestione della bambina.

Mi sono barcamenata per qualche mese con l'asilo nido e con la babysitter, visto che qui non ho nessun tipo di aiuto, ma a un certo punto ho deciso di abbandonare: 700 euro di nido al mese e in più la tata, la babysitter di scorta se l'altra non può… se ne andava via tutto il mio stipendio e oltre, e la gestione della piccola era complicatissima. È lì che mi dico: d'accordo, questo lavoro non fa più per me. Ne troverò un altro più adatto alle mie esigenze, con orari a me più congeniali, vicino a casa, che problema c'è? Non l'avessi mai fatto.

Perché? 

Era l'estate del 2022, e dopo mesi ancora sono disoccupata. Ho inviato e invio tuttora curriculum, ho fatto tanti colloqui. Ma alla fine mi vengono poste sempre le stesse domande: tuo marito che lavoro fa, come sei organizzata se la bambina si ammala, hai i nonni vicini, hai qualcuno che ti aiuta a Milano. Solo alla fine arrivano le questioni vere e proprie, ovvero: cosa sai fare, che esperienza hai?

Non sono domande che dovrebbero essere fatte ai colloqui. A un uomo con figli nessuno porrebbe domande personali sull'organizzazione della famiglia o sul mestiere del coniuge. Nessun uomo con figli verrebbe scartato in quanto padre.

Qual è il problema di fondo, secondo te?

Credo che il problema principale in Italia sia da parte delle aziende, che hanno paura di assumere lavoratrici con responsabilità familiari e cercano dipendenti-robot con totale dedizione al lavoro e completa flessibilità di orari, che facciano senza battere ciglio ore e ore di straordinari, poche richieste di ferie e permessi, che siano iper produttivi e che non abbiano una vita al di fuori dell'ufficio… forse, da questo punto di vista, lo Stato dovrebbe aiutare di più le imprese, incentivare e sostenere seriamente le politiche di welfare aziendale a livello economico.

Poi c'è una questione di mentalità, che qui è ancora molto patriarcale. I ruoli di cura pesano ancora tutti sulle spalle delle donne, e i datori di lavoro lo sanno molto bene: sono io, ad esempio, a occuparmi della famiglia al cento per cento, dal pediatra della bambina al veterinario del cane. Se mio marito dovesse chiedere ferie perché la bambina è malata il titolare lo guarderebbe storto, come se fosse un fallito. È profondamente sbagliato.

La questione è anche a monte, insomma. La gestione della famiglia non è ancora condivisa equamente tra uomo e donna.

Io al momento sono unicamente mamma e casalinga, ed è una dimensione che non mi appartiene. Da quando sono diventata madre per me è cambiato tutto, ho perso la mia indipendenza economica, mi sono completamente annullata.

Insomma, se oggi trovassi finalmente un altro lavoro, con tutte le condizioni giuste, ci penserei dieci volte a fare un altro figlio. Forse, ora come ora, non lo farei. È brutto da dire perché in futuro vorrei poter dare a mia figlia un fratellino o una sorellina, ma ho l'ansia di ritrovarmi ad affrontare tutto da capo.

Così come, con il senno di poi, forse avrei rimandato la decisione di avere un figlio. Ma avevo quasi 30 anni, un marito, una casa, un contratto a tempo indeterminato. I tasselli, pensavo, erano tutti al posto giusto. Invece ora sono crollati a terra.

Potendo contare su degli aiuti esterni, la situazione cambierebbe?

Sì, sarei senza dubbio più alleggerita, i nonni e i parenti che ti aiutano sono una fortuna. Ma comunque non sono dei babysitter: perché se non ci sono sostegni privati come i nonni, per una mamma che lavora, è così difficile (e costosa) la gestione di un bambino? Perché senza di loro, in Italia, sei rovinata? Senza di loro o vai a lavorare gratis, impazzendo per l'organizzazione della gestione familiare, o come me ti arrendi con la vana speranza di ritornare presto nel mondo del lavoro.

Davvero l'Italia non è fatta per le mamme. Possiamo passare i giorni a dire che siamo in crisi demografica, che non nascono più bambini, che i giovani fanno figli tardi. Ci credo: se mettiamo le donne nelle condizioni di dover scegliere tra professione e famiglia, di non rimettersi nel mondo del lavoro senza perdere troppo tempo, di subire domande personali ai colloqui, di sostenere tutto il peso della gestione casalinga… cosa ci possiamo aspettare?

Possiamo tappare il buco con piccoli bonus e leggine, ma è la radice che è marcia. E finché non lo capiremo, la situazione potrà solo peggiorare.

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