Ahmet, 22enne suicida in carcere dopo aver denunciato abusi: “Era depresso, non doveva stare lì”
Ha un nome e un volto il ragazzo di 22 anni morto suicida nel carcere Canton Mombello a Brescia lo scorso 5 ottobre. Si chiamava Ahmet Seye, viveva a Bagnolo Mella, in provincia di Brescia. Le esatte circostanze della sua morte non sono ancora state chiarite: l'autopsia deve ancora essere eseguita. Ahmet stava scontando ai domiciliari una detenzione per reati di droga – commessi quando era ancora minorenne -, ma due giorni prima che finisse la prima detenzione domiciliare, durata un anno, era stato raggiunto da un nuovo ordine di detenzione, questa volta in carcere, con scadenza a dicembre del 2021. E così, la sera di giovedì 1 ottobre Ahmet era stato portato in carcere.
Eppure Ahmet soffriva di depressione, male oscuro – certificato dai medici – in cui era sprofondato dopo una torbida vicenda che costituisce un dramma nel dramma. Ahmet aveva infatti denunciato un imprenditore bresciano, ora anziano, per abusi sessuali: l'uomo ne avrebbe approfittato sessualmente per anni, da quando il giovane era ancora minorenne fino a poco prima del compimento dei 18 anni, in cambio di soldi e vestiti di marca. E Ahmet non sarebbe stata la sola vittima dell'uomo: "Anch'io sono caduto nella rete di quel signore – dice a Fanpage.it un amico del 22enne che vuole rimanere anonimo – quell'imprenditore ha rovinato la vita e le famiglie di altri che per vergogna non hanno parlato".
Una raccolta fondi per riportare la salma in Senegal per i funerali
Ahmet ha resistito in carcere pochi giorni prima di decidere di togliersi la vita, forse sopraffatto dagli incubi di un passato che non era riuscito a superare. Il dramma di Ahmet non è isolato: secondo la testata Ristretti i suicidi in carcere nel 2020 sono stati già 46. Di tanti di questi detenuti morti dietro le sbarre non se n'è sentito nemmeno parlare: non ci sono articoli, né nomi. Di Ahmet, adesso, sappiamo almeno chi era: un ragazzo che aveva vissuto "una vita un po' difficile con alti e bassi", come hanno scritto di lui gli amici che adesso stanno organizzando una raccolta fondi per aiutare la famiglia a rimpatriare la salma in Senegal per i funerali, ma aveva ancora tanti anni davanti a sé, e forse poteva e doveva essere aiutato in un posto diverso da una cella di una prigione.
L'amico di Ahmet: Era malato, non doveva stare in carcere
"Ahmet era malato, non doveva trovarsi in carcere", si sfoga l'amico che adesso attende di capire cosa ne sarà della sua denuncia. Dello stesso avviso è l'avvocato che segue l'amico di Ahmet e assisteva anche il povero 22enne nel procedimento contro l'imprenditore che non è però ancora stato definito. "Ahmet soffriva di depressione, certificata a livello medico, a causa dei presunti abusi sessuali subìti quando era piccolo – spiega l'avvocato Eleonora Rossini -. Già in passato si era reso protagonista di quattro episodi di autolesionismo. Senza voler puntare il dito contro nessuno, diciamo che si poteva evitare che il ragazzo finisse in carcere e forse questa decisione è stata presa con leggerezza".
A rendere il tutto più difficile sono state anche le condizioni di salute del giovane, che non voleva andare in comunità. Conoscendo lo stato del figlio, il padre lo aveva raggiunto dal Senegal: un viaggio che però era stato differito di mesi a causa del Covid. Da aprile, mese in cui il genitore sarebbe dovuto partire, alla fine il padre di Ahmet ha raggiunto il figlio solo una settimana prima che il ragazzo finisse nuovamente in carcere. "Purtroppo l'arrivo del padre è stato tardivo", prosegue l'avvocato, che racconta poi quali erano le condizioni detentive del giovane: "So che il ragazzo era in isolamento per via degli accertamenti per il Covid, so che c'erano controlli ma evidentemente Ahmet è riuscito a eluderli". Adesso bisognerà attendere come minimo i risultati dell'autopsia per capire se vi sia qualche ombra nella sua morte. Ombre che invece di sicuro, purtroppo, hanno accompagnato la breve esistenza di Ahmet.