Afghanistan, la rifugiata che assisteva le donne: “Sogno di tornare ad aiutare la mia gente”
"Non trovo le parole per descrivere il mio dolore, non è bello lasciare tutto quello che hai costruito negli anni e non è facile lasciare il tuo Paese". Amani (nome di fantasia, ndr) racconta a Fanpage.it con commozione ciò che prova pensando all'Afghanistan, la terra che lei, per sei anni tecnico di laboratorio nel centro della Fondazione Umberto Veronesi a Herat, ha dovuto lasciare dopo il ritorno al potere dei talebani a metà agosto. Amani, 28 anni, è venuta in Italia assieme al marito e al figlio, ma in Afghanistan ha lasciato i genitori e la sorella minore: "Era ostetrica ma attualmente è senza lavoro, ha lasciato la sua professione per paura dei talebani, perché loro sono contro il lavoro delle donne". La preoccupazione per le sorti dei suoi famigliari è tanta, perché chi ha collaborato con istituzioni internazionali finisce nella lista nera del nuovo governo di Kabul.
Oggi le donne che hanno bisogno di aiuto trovano la porta chiusa
Ma altrettanta è la preoccupazione per le donne afghane, che Amani aiutava: "Lavoravo come tecnico mammografo. Ho potuto aiutare le donne afghane che per la maggior parte vivono in povertà. Il servizio che offrivamo era totalmente gratuito. Oggi le donne che hanno bisogno di aiuto trovano la porta chiusa". Nel corso degli ultimi sei anni sono state circa diecimila le donne afghane aiutate dal centro della Fondazione Veronesi per la diagnostica del tumore al seno. Poi però è cambiato tutto in pochi istanti: "Il nostro personale ha lasciato Herat giusto in tempo, attualmente il nostro centro è chiuso, i talebani sono arrivati e volevano sapere dove fosse il nostro personale", spiega a Fanpage.it la responsabile Relazioni istituzionali e Progetti internazionali, Annamaria Parola.
A Milano le donne afghane e le loro famiglie sono aiutate da Progetto Arca
Le donne e le loro famiglie sono state aiutate dalla fondazione Progetto Arca, che a Milano si è già occupata dei profughi siriani: "Abbiamo messo a disposizione i nostri centri d'accoglienza e la nostra attività educativa per le donne e le loro famiglie. Pensiamo che sia un dovere civile dare la massima disponibilità all'accoglienza", spiega la direttrice dei servizi di fondazione Progetto Arca, Costantina Regazzo. Uno degli obiettivi nel percorso dell'inserimento dei profughi afghani in Italia è il riconoscimento dei titoli di studio di Amani e delle altre sue colleghe, in maniera da far loro riprendere la professione che svolgevano a Herat. È anche il sogno di Amani, che ringrazia per l'accoglienza ricevuta a Milano ma pensa già alla possibilità di tornare a casa: "Ho trovato una società accogliente, apprezzo molto l'atmosfera e l'ambiente accogliente della città di Milano. Dove mi vedo tra cinque anni? Voglio avere la possibilità di studiare e di continuare l'attività professionale. Spero che col mio sforzo riuscirò a lavorare ancora, in maniera che quando potrò tornare in Afghanistan potrò portare un'esperienza nuova per aiutare la mia gente".
(Intervista a cura di Simone Giancristofaro)