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Affitti brevi a Milano, Maran: “Con Santanché opinioni troppo diverse, Salvini è il grande assente”

L’assessore alla Casa Pierfrancesco Maran spiega a Fanpage.it qual è la battaglia del Comune di Milano con il Governo per far fronte al caro affitti.
A cura di Francesca Del Boca
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"In questi anni sta avvenendo tutto molto velocemente. Ma il cambiamento va governato, tenendo sempre presente che il tema casa è un tema di welfare". A parlare a Fanpage.it è l'assessore alla Casa del Comune di Milano Pierfrancesco Maran, reduce da un recentissimo incontro con la ministra del Turismo Daniela Santanché. Il tema? La regolamentazione degli affitti brevi nelle grandi città – e quindi di conseguenza anche a Milano, che adesso più che mai sta fronteggiando una vera e propria emergenza abitativa: poche case disponibili, prezzi alle stelle.

Come è andato il vertice con la ministra del Turismo Santanché?

Temo ci sia una visione di partenza radicalmente diversa tra noi. L'obiettivo che si pone lei è quello di regolamentare la questione della concorrenza con gli hotel e di alzare il livello dell'offerta turistica, tralasciando le specifiche richieste territoriali.

Lo sforzo legislativo della Santanchè, dal punto di vista dell'aiuto ai comuni, si limita al tetto delle due notti minime… ma è una misura ininfluente per le grandi città, in cui questo tipo di ospitalità turistica sta letteralmente trasformando il volto di alcune zone e concorre in maniera molto rilevante all'incremento degli affitti.

Noi chiediamo solo strumenti per limitare questi effetti. Fatta così, la norma Santanché è una rinuncia: solo il 5 per cento dell'offerta a breve termine è di una notte e basta. Forse, a questo tavolo, dovrebbe partecipare anche il ministro delle Infrastrutture e non solo quello del Turismo: Matteo Salvini dov'è?

Milano cosa chiede al governo?

Innanzitutto chiede di limitare i fondi immobiliari e le società che comprano interi palazzi per riconvertirli, eludendo le norme che gli alberghi sono invece costretti a rispettare. Poi chiede di lavorare su un criterio di zonizzazione, ovvero la possibilità, anche all'interno di una stessa città, di differenziare quartiere per quartiere.

In tal senso, sarebbe opportuna una proposta di legge che consenta ai comuni di decidere quante licenze possono essere concesse, anche prendendo in considerazione le differenze territoriali.

Milano invoca anche il lodo Venezia. Ma davvero il capoluogo lombardo è come Venezia?

È più una questione di autonomia, di chiedere al governo la possibilità di realizzare una norma a livello locale. Su questo tema i Comuni dovrebbero poter avere una propria capacità normativa, dal momento che ognuno ha le sue specifiche. Perché, appunto, Milano non è come Venezia.

La scuderia degli alloggi a breve termine, sul territorio di Milano, è di circa 15/20mila unità. Può veramente essere un numero che, immesso nel mercato degli affitti standard, contribuirebbe davvero ad abbassare i prezzi del canone? Non si tratta in fondo di pochi appartamenti?

No, questo lo sostengono i colossi degli affitti brevi. Una città come Milano conta circa 100/130mila appartamenti in affitto: se Airbnb ne ha a disposizione approssimativamente 15/20mila, significa che in 5/6 anni si è pappato il 15 per cento del mercato degli affitti cittadini. Considerando poi il fatto che di questi 15mila il grosso è concentrato tutto in alcuni quartieri all'interno della cerchia della 90/91, e non distribuito correttamente sull'intero territorio.

Stop a Airbnb, quindi?

I Comuni non si stanno certo ponendo l'obiettivo di azzerare questa realtà, che anche in città – se gestita nel modo corretto e non lasciata sviluppare senza regole – può avere i suoi effetti positivi. L'offerta, adesso, ha raggiunto numeri troppo alti: bisogna progressivamente abbassarla del 20 per cento, e limitare l'ingresso di società e fondi.

La protesta degli studenti è partita da Milano e ha raggiunto tutta Italia. E adesso, in generale, è più forte che mai la narrazione di una Milano respingente, costosa, inaccessibile. Cosa sta succedendo con le case a Milano?

È un fenomeno tipico di tutte le realtà attrattive a livello internazionale, e si basa sul fatto che le popolazioni urbane che vogliono vivere nelle città sono in crescita: in poche parole, c'è una domanda di casa superiore all'offerta. Per dare un'idea, su Milano, in dieci anni, gli studenti universitari fuori sede sono passati da 45mila a 70mila, i residenti da un milione e 300 a un milione e 400, i turisti sono più che raddoppiati in cinque anni.

Insomma, la popolazione cresce ed è questo a causare l'aumento dei prezzi, a Milano come a Barcellona. I costi lievitano, e c'è sempre qualcuno che se li può permettere. Escludendo studenti, lavoratori, famiglie.

E come si può governare la questione, allora?

Non c'è un'azione singola che può risolvere il problema, è necessario mettere in campo una serie di mosse. La prima, ad esempio, è quella di lavorare sul canone concordato, aggiornando uno strumento che favorirebbe una riduzione del canone di affitto del 10/15 per cento per l'inquilino e alleggerirebbe le tasse per il proprietario. Oppure, appunto, regolare le norme sull'ospitalità turistica. Ancora, un programma di costruzione di edilizia convenzionata e di studentati.

A mio avviso, la misura più urgente – e allo stesso tempo fattibile in tempi brevi – sarebbe quella di prevedere un fondo per il sostegno affitti su modello di altri grandi Paesi europei: potremmo prendere quei soldi dal ricavato della cedolare secca, che alle casse dello Stato ultimamente porta dai 3 ai 4 miliardi. Basterebbe destinare anche solo un miliardo a questo fondo e garantire così a inquilini e a famiglie delle zone ad alta tensione abitativa un assegno mensile di 200 euro, riportando gli affitti a quello che erano anni e anni fa.

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