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Accoltellò ragazzo a Milano, Caravita condannato a 6 anni, il gup: “Ha colpito per uccidere”

L’imputato avrebbe voluto “come conseguenza certa, o altamente probabile della propria condotta, la morte”. Queste parte delle motivazioni della sentenza di condanna a sei anni nei confronti di Alessandro Caravita, il ragazzo di 20 anni che tra il 5 e il 6 giugno scorsi ha accoltellato un rivale in corso Garibaldi a Milano.
A cura di Filippo M. Capra
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Immagine di repertorio
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Depositate le motivazioni della sentenza di condanna a sei anni di carcere in rito abbreviato per Alessandro Caravita, il figlio del capo ultrà dell'Inter Franco, che nella notte tra il 5 e il 6 giugno scorso accoltellò un rivale in corso Garibaldi dopo una lite. Secondo quanto scritto dal giudice per l'udienza preliminare Roberto Crepaldi, l'imputato avrebbe voluto "come conseguenza certa, o altamente probabile della propria condotta, la morte".

Il gup: Caravita affonda colpi ripetuti nel corpo del rivale

Nelle motivazioni del giudice, si legge poi che è impossibile "credere ad Alessandro Caravita quando afferma di avere agito con il solo fine di ‘spaventare' la persona offesa". Questo poiché in un filmato ripreso da una videocamera di sorveglianza della zona si nota, "l'imputato viene distintamente ripreso mentre, con colpi ripetuti, affonda la lama nel corpo dell'avversario attingendolo con violenza al tronco". Quindi, il 20enne ora condannato "non si è limitato a estrarre il coltello per mostrarlo alla vittima con intenti intimidatori", ma ha "consapevolmente assestato tutti i colpi al busto, con gesti talmente repentini e decisi da impedire qualsiasi difesa da parte della vittima". La difesa di Caravita junior, ora ai domiciliari e sottoposto a sorveglianza speciale per un anno, è sempre stata la stessa. Il giovane aveva ammesso di aver colpito il rivale, ribadendo però con forza di averlo fatto "per difendermi perché sono stato prima minacciato e poi aggredito, erano in quattro".

Respinti i futili motivi e concesse le attenuanti generiche

Eppure, dai filmati, scrive ancora i giudice, "Caravita appare tutt'altro che spaventato o bisognoso di aiuto" e "l'avere tentato più volte di affrontare il proprio aggressore così come l'avere stazionato per un non trascurabile lasso temporale sul luogo del delitto e per giunta trattenuto a stento dai passanti, sono tutte circostanze che non permettono in alcun modo di affermare che Caravita abbia percepito un'immanente e imminente situazione di pericolo". Respinta, comunque, la richiesta dell'aggravante dei futili motivi presentata dal pubblico ministero, in quanto "le aggressioni furono reciproche" ed "è ampiamente provato che Alessandro Caravita venne ingaggiato in uno scontro fisico, circostanza che, sebbene non possa giustificare in alcun modo il tentato omicidio, esclude la futilità dei motivi che hanno indotto l'imputato a delinquere". Il gup, infine, ha concesso le attenuanti generiche perché "l'imputato ha dimostrato di avere criticamente ripercorso i fatti contestati, vergando una lettera di scuse e risarcendo, seppure in minima parte, il danno cagionato".

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