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“A Milano non basta lavorare per uscire dalla povertà”: la denuncia del Presidente della Caritas

L’ultimo report della Caritas ambrosiana ha mostrato come siano aumentati i poveri. A Fanpage.it il presidente, Luciano Gualzetti, ha spiegato che è necessario pensare a politiche redistributive in grado di far uscire realmente queste persone da condizioni di fragilità.
A cura di Ilaria Quattrone
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L'ultimo rapporto della Caritas di Milano, elaborato sui dati raccolti nel 2022, mostra come siano aumentati i poveri in tutta la provincia meneghina. Il report ha raccolto i numeri di 137 centri di ascolto e tre servizi diocesani e mostra come l'impoverimento generale abbia raggiunto il valore più alto da quando l'Ente pubblica relazioni sulla povertà.

Le richieste di aiuto arrivano soprattutto da persone straniere, da donne, da famiglie con minori e anche da chi ha un lavoro, ma nonostante questo non riesce comunque a vivere una vita dignitosa.

"Andando avanti di questo passo, continuerà ad aumentare il divario tra chi è povero e chi non lo è. Servono politiche redistributive, serve un sistema pubblico che sia veramente a favore di chi è più debole e che tenga in considerazione che chi vive in una condizione di fragilità ha i medesimi diritti degli altri", spiega a Fanpage.it, il direttore della Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti.

Nel vostro report, emerge che ci sono tante famiglie con minori che chiedono aiuto. Come vivono i ragazzi questa condizione di disagio? C'è un aumento della cosiddetta "rabbia sociale" da parte dei più giovani? 

Alla Caritas arrivano molte famiglie. Generalmente sono le madri a chiedere il nostro aiuto, a raccontarci la loro condizione, a spiegarci quali siano le loro richieste e i loro bisogni. Sulla base dei dati che abbiamo raccolto, sono 6.600 i minori che Caritas aiuta insieme alle loro famiglie. Si tratta di nuclei che non riescono ad arrivare alla fine del mese e non riescono a pagare l'affitto.

Purtroppo non abbiamo dati che ci consentono di sapere come i ragazzi vivano questa condizione. È certo che è necessario offrire le medesime opportunità a tutti. Se non si combatte l'evasione e la dispersione scolastica, diventa complesso permettere loro di uscire dalla trappola della povertà. Alla lunga questa condizione fa sì che vi sia meno fiducia negli altri e nel futuro. È chiaro quindi che possano esserci risentimenti e rancori, ma è più facile che vi siano verso gli ultimi che verso i più ricchi.

È più probabile che si alimenti una lotta tra poveri che verso chi consideriamo più privilegiato. Questo perché la distanza è talmente ampia che è difficile che ci sia una competizione.

La forbice sociale continua ad allargarsi di anno in anno? 

Le povertà sono in aumento ed è sotto gli occhi di tutti. Erano state in parte frenate dall'inserimento del reddito di cittadinanza, ma poi sono tornate a crescere. Questo incremento è indice del fatto che c'è una struttura economica e sociale che, dal punto di vista della condivisione delle opportunità, premia sempre i soliti e penalizzate sempre gli stessi. Quelli che sono indietro rischiano di rimanere ancora più dietro.

Sembra quasi che è come se ci fosse una politica che, citando un passo del Vangelo, punta sul: "A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha".

Andando avanti di questo passo, i divari continueranno ad aumentare: servono politiche redistributive, un sistema pubblico che tenga e che sia veramente a favore di chi è più debole e che tenga in considerazione che chi vive in una condizione di fragilità ha i medesimi diritti degli altri. Pensiamo alla sanità: chi fa le visite nel sistema pubblico dovrà attendere almeno un anno per curarsi. Chi si rivolge al sistema privato, accede subito alle cure.

È necessario educare i ragazzi, permettere loro di poter avere un futuro migliore, aiutandoli ad avere fiducia negli altri, favorendo legami sociali e sostenendo le famiglie.

Il vostro report ha evidenziato che ci sono persone che chiedono aiuto perché non riescono ad arrivare alla fine del mese, secondo lei il salario minimo è uno strumento che potrebbe evitare situazioni simili? 

Spetta alla politica e alle Istituzioni dare risposte tecniche. Noi vediamo fette di popolazione che non arrivano a fine mese pur lavorando. Questo probabilmente significa che c'è un mondo del lavoro che non mette in condizione queste persone di vivere dignitosamente. Credo che sia la prima volta nella storia che capita di vedere persone con il lavoro che rimangano comunque povere.

Ci è sempre stato insegnato che il lavoro era il percorso da intraprendere per uscire dalla povertà. Attraverso questo strumento avremmo dovuto avere un reddito in grado di permetterci di provvedere alle nostre famiglie e di poter vivere in una casa dignitosa. Purtroppo questo concetto non è più vero. Io non so se il reddito minimo sia la risposta più efficace, certo è che so che ci sono persone che si impegnano per la società, che lavorano per la propria famiglia e che non riescono a garantire una vita dignitosa.

Sarà anche che il costo della vita a Milano è più alto di altre città? Questo è un altro tema che andrebbe affrontato. Non ho soluzioni, ma vedo gli effetti di un mondo malato. I correttivi vanno trovati altrimenti condanniamo intere fette di popolazione e i loro figli a una situazione di impoverimento perenne e inarrestabile.

Ci sono state diverse polemiche sul reddito di cittadinanza, spesso additato come uno strumento che voleva favorire chi non voleva lavorare. C’è una incapacità a leggere le condizioni in cui vivono i più fragili? 

Quando parliamo di lotta alla povertà, dobbiamo ricordarci che ci sono persone che spesso non hanno le condizioni minime per ottenere un lavoro, per cercarselo per mantenerlo. L'errore nel reddito di inclusione, a parere mio, è che è riservato ai non occupabili e cioè a chi ha in carico un familiare che sia un anziano, un minore o un disabile.

Queste persone vengono considerate non occupabili perché giustamente devono prendersi cura dei loro familiari. Ciò significa che tutti gli altri sono ritenuti occupabili, ma spesso non è così. Noi incontriamo persone che, pur rientrando in questa categoria per questa definizione, non riescono a trovare un'occupazione e non riescono a sopravvivere.

In una società degna di questo nome, non si può tollerare che tra i propri cittadini ci sia gente che non vive una vita dignitosa. Dovrebbe essere necessario far di tutto per aiutare chiunque a vivere dignitosamente fino a portarlo a non avere più bisogno di aiuto né dalla Caritas né dallo Stato. Per farlo, sono necessarie politiche che però non possono essere ridotte a schemi grossolani che non hanno agganci con la realtà.

È vero: c'è stato qualcuno che nonostante potesse lavorare ha comunque ottenuto il reddito di cittadinanza e continuato a lavorare in nero, ma sono anomalie.

Noi chiediamo da anni una misura universalistica di lotta alla povertà che consenta di poter pagare l'affitto, far mangiare i propri figli. La lotta alla povertà non si fa con bandiere né con parole d'ordine che vanno sul rigore e la serietà.

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