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A Milano la metà dello stipendio dei lavoratori se ne va in affitto

A Milano l’affitto pesa il 51,6 per cento di uno stipendio medio nazionale. “La casa è un bene essenziale, non possiamo pensare che si lavori fino al 15 del mese solo per pagare l’affitto”.
A cura di Francesca Del Boca
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A Milano, a dare la stangata alla cifra che ogni fine mese entra in tasca ai lavoratori, c'è una tassa molto particolare. Un'imposta più milanese che mai: si chiama affitto, e pesa più del 50 per cento dello stipendio medio di chi lavora in città.

A Milano l’affitto pesa infatti in media il 51,6 per cento di uno stipendio nazionale, con un canone medio mensile per l’affitto di circa 825,56 euro (in costante aumento).

E se a Milano i salari medi sono certamente più alti rispetto a quelli nazionali, devono comunque far fronte al caro vita imperante e, appunto, ai prezzi delle case milanesi, in crescita del 40 per cento solo negli ultimi anni – e dunque ormai in linea con quelli di tante altri grandi città del Nord Europa. 

"Si lavora fino al 15 del mese solo per pagare l'affitto"

Insomma: lo sviluppo economico fa impennare il valore degli immobili, ma non certo gli stipendi degli abitanti. "Basti pensare che negli ultimi anni il costo delle case è aumentato del 40 per cento, mentre gli stipendi del 5 per cento", il commento dell'attivista milanese Tomaso Greco. "La casa è un bene essenziale, non possiamo pensare che si lavori fino al 15 del mese solo per pagare l’affitto".

Le altre grandi città italiane

Il rapporto reddito-affitto, insomma, rischia di essere insostenibile. A maggior ragione se si pensa che in altri grandi capoluoghi italiani, come Genova o Torino, un tetto sopra la testa impatta rispettivamente del 20 e del 25 per cento sullo stipendio dei cittadini.

"Abbiamo gli affitti di Monaco di Baviera, ma non certo gli stipendi. Nelle altre città europee il rapporto risulta nettamente più equilibrato, tra il 28 e il 40 per cento", sempre Tomaso Greco. "Il rischio è quello di creare un progressivo aumento dei cosiddetti working poors, cioè coloro che nonostante abbiano un impiego rientrano comunque nelle fasce di povertà".

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