A Milano il reddito medio non basta: così nasce una classe di poveri che nel resto d’Italia non c’è
La storia, raccontata da Fanpage.it, del professore di liceo che fa il rider la sera per arrivare a fine mese, riaccende i riflettori sul lavoro povero a Milano. A prescindere da chi, anche nella "capitale economica", è senza lavoro, secondo le stime della Camera di Lavoro e della CGIL milanesi ci sarebbero 340mila lavoratori che percepiscono meno di 15.000 euro all’anno e almeno 350.000 che hanno un reddito inferiore all'ammontare di un sussidio Naspi o del reddito di cittadinanza.
La storia del professore rider e di molti altri come lui racconta, però, un altro problema: nella città che si ritiene più europea d'Italia anche chi non ha un reddito classificabile come "lavoro povero", perché supera appunto i 15mila euro annui, fa comunque fatica ad arrivare a fine mese.
Chi sono i lavoratori poveri
In base alla definizione, si può ritenere povero un lavoratore che ha un reddito più basso del 60% di quello della media nazionale. Secondo l’Istat, il reddito medio in Italia è pari a 21.570 euro all’anno e la città di Milano ha un reddito medio pro capite di quasi 34mila euro all'anno. Ma, secondo la CGIL e basandosi sui numeri dell'Agenzia delle Entrate, il 27,7% del reddito prodotto è nelle mani del 2,4% della popolazione.
Alla voce "deboli", secondo la CIGL, ci sono i lavoratori part time, sia a tempo determinato che indeterminato: operai e impiegati che, avendo chiesto il tempo pieno ma senza risultato, portano a casa poco più di 12 mila euro all’anno. A questi si aggiungono tutti i lavoratori a chiamata: il loro reddito medio annuo si attesta sotto gli 8 mila euro.
A queste fasce si aggiunge quella fetta pari a circa il 40-50% dei 23mila nuclei familiari che percepiscono il Reddito di Cittadinanza a Milano. Secondo il Comune questa parte di percettori sono lavoratori che percepiscono in media 500 euro al mese, quindi 6 mila euro all’anno.
Un'altra classe di poveri a Milano
Il problema è che questi non sono gli unici lavoratori milanesi che fanno fatica ad arrivare a fine, come dimostra la storia del professore di liceo che, pur avendo un reddito superiore al 60% della media nazionale, è costretto a un secondo lavoro. Perché quei dati non tengono conto delle diverse realtà geografiche e di come la possibilità di spesa muti nelle varie città
"Oltre a chi è ritenuto povero, lavoratore o disoccupato che sia, a Milano la fascia media ha sempre meno possibilità di spesa. – spiega a Fanpage.it l'avvocato giuslavorista Cristiano Cominotto – Questo crea nel capoluogo lombardo un esercito di persone che, pur avendo un reddito che a livello nazionale è ritenuto medio, nel capoluogo lombardo in realtà risultano nei fatti sotto la soglia di povertà".
Chi difende quindi i diritti dei lavoratori si trova sempre più spesso di fronte a situazioni di persone che, pur avendo un lavoro e un reddito ritenuto accettabile, in realtà affronta ugualmente importanti difficoltà economiche.
"Milano poi è il primo posto dove aprono le grandi multinazionali, con una capacità di spesa molto importante per i suoi dipendi, ma anche questo in realtà aumenta la polarizzazione ampliando le disparità fra lavoratori e rendendo più cara la città. Quindi, anche quella che è una grande forza della città, si trasforma in una debolezza".
Un numero sempre più importante di persone con elevata possibilità di spesa produce, quindi, a Milano (a differenza che ne resto d'Italia) un aumento dei prezzi, già a partire da quello delle case, che produce una classe di poveri autoctona: lavoratori che, pur avendo un reddito medio non riescono ad arrivare a fine mese.