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Omicidi in una sola zona, il Dna e l’autopsia psicologica: gli indizi sull’ipotesi del serial killer a Milano

Tra gli anni Sessanta e Settanta a Milano potrebbe esserci stato un serial killer responsabile della morte di otto donne. Negli ultimi anni, grazie al lavoro di un team guidato dal direttore scientifico dell’Istituto di NeuroIntelligence Franco Posa è stato possibile isolare un dna.
A cura di Ilaria Quattrone
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Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta la città di Milano potrebbe aver avuto un suo "mostro", un serial killer che avrebbe ucciso almeno otto donne. Tutte sarebbero state colpite con decine di coltellate. Nessuno è mai riuscito a dare un'identità a questo assassino. Di conseguenza non è mai stato possibile dare giustizia ai familiari delle vittime. Tra queste c'è Adele Margherita Dossena, madre dell'attrice Agostina Belli, che non si è mai arresa. Per cinquant'anni ha tenuto infatti acceso il faro sull'omicidio della madre e delle altre donne.

Grazie al lavoro del direttore scientifico dell'Istituto NeuroIntelligence Franco Posa, negli ultimi anni è diventata sempre più preponderante l'ipotesi di un mostro di Milano. Il professore, insieme al suo team, ha infatti scoperto che i delitti sono avvenuti in un'unica area della città, che alcune vittime si conoscevano tra loro, che le ferite riportate sui corpi erano simili così come le modalità degli omicidi e infine ha permesso, attraverso l'autopsia psicologica, di recuperare alcuni reperti sui quali è stato isolato un Dna. Questa notizia ha sicuramente dato speranza a Belli e a tutti i parenti delle vittime.

"Alla luce del lavoro svolto dal dottore Posa, è plausibile pensare che queste donne siano state uccise da un'unica mano. Sarebbe fondamentale riuscire a individuare i fascicoli d'indagine di questi delitti perché potrebbero fornire nuovi elementi utili a risolverli", ha spiegato a Fanpage.it l'avvocato Valter Biscotti, legale di Agostina Belli.

L'avvocato Valter Biscotti
L'avvocato Valter Biscotti

"È possibile che in quegli anni ci sia stato un killer che abbia agito su un ristretto ambito territoriale. All'epoca sia Milano che altre grandi città erano scenari di atti terroristici. Le forze dell'ordine quindi erano impegnate a contrastare sia questi che un certo tipo di banditismo che i sequestri di persona. Gli investigatori sicuramente non trascuravano le altre ipotesi di reato, però era più complesso poter mettere in relazione i singoli omicidi di donne e soprattutto comprenderne la matrice".

Considerato che sono trascorsi cinquant'anni, non è facile trovare le risposte: "Mi rendo conto che non sia semplice individuare i fascicoli. Da parte nostra, siamo disponibili a dare tutto l'aiuto possibile. In tal senso è stato fondamentale anche il lavoro dei giornalisti e in particolare di Andrea Galli, cronista del quotidiano Il Corriere della Sera, che ha permesso di mettere in relazione diversi elementi".

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"Le novità più importanti sono quelle relative all'isolamento di un Dna su alcuni reperti della madre di Belli, che potrebbe permettere di individuare il responsabile. Questa persona potrebbe essere morta, ma è importante che vengano avviate indagini sia per dare giustizia ai familiari, che non ne hanno avuta per cinquant'anni, sia per un senso di verità che dobbiamo a tutte le vittime. Oltre ai fascicoli, potrebbe essere molto utile che qualcuno che era presente in quegli anni e che ricorda particolari possa farsi vivo e contattarci".

Come anticipato dall'avvocato Biscotti, il lavoro del dottor Posa e del suo team è stato centrale. Il criminologo è direttore scientifico dell'Istituto NeuroIntelligence: "Ci occupiamo di cold case particolarmente datati e per i quali è stata utilizzata un'arma bianca. Nel 2020 alcuni giornali sono tornati sul caso di Simonetta Ferrero, la donna uccisa nel 1971 nei bagni dell'Università Cattolica. Abbiamo quindi deciso di analizzare l'area geografica in cui è avvenuto il delitto e verificare quante vittime da arma bianca ci sono state in quella zona e in un arco di tempo  che andava fino ai dieci anni precedenti e successivi alla morte di Ferrero".

Il dottor Franco Posa
Il dottor Franco Posa

"Inizialmente – ha precisato ancora il professore di Neuroscienze – in quella zona abbiamo isolato dodici casi di donne uccise con un'arma bianca. Considerato il numero, abbiamo iniziato un'attività tecnico scientifica. Per prima cosa abbiamo svolto un'attività di Crime Mapping attraverso software dedicati per valutare la territorialità di quanto accaduto (distanze, percorsi, aree di passaggio). Secondariamente abbiamo applicato un nostro protocollo di autopsia psicologica: il PASIC (Psychological Autopsy Structured on Individual Cases)".

L'autopsia psicologica esiste dalla fine degli anni Sessanta: "È una metodica molto datata. Nel nostro caso specifico, ci siamo quindi chiesti se non fosse necessario rinnovare il protocollo. Così è nato il PASIC che consiste nell'ascoltare le persone che hanno avuto un contatto diretto o indiretto con la scena del crimine, con le vittime o con qualsiasi contesto legato a quanto era accaduto in quel momento. Questo ci ha permesso di capire cosa succedeva in quella via o che tipo di passaggi c'erano. A differenza della vecchia autopsia psicologica, non utilizziamo un protocollo standard ma ne costruiamo uno ad hoc in base al caso che studiamo".

L'area in cui sono avvenuti i delitti
L'area in cui sono avvenuti i delitti

Con le persone ascoltate, si costruisce un rapporto uno a uno: "In questo modo sviluppiamo fiducia, empatia e ascolto. Si inizia con discussioni molto aperte, poi ci si focalizza sui ricordi, successivamente li analizziamo dal punto di vista criminale. È un lavoro molto lungo. Per il caso del Mostro di Milano, in media, abbiamo impiegato tre mesi per ogni persona ascoltata".

Grazie al rapporto di fiducia sviluppato, Agostina Belli "ha deciso di contattarmi alle due di notte e dirmi che aveva una valigia, al cui interno c'era materiale raccolto sulla scena del crimine quando la povera madre era stesa a terra. Mi ha confidato di non averlo fatto prima perché l'atteggiamento, in quegli anni, degli investigatori è sempre stato molto distaccato".

Il ritrovamento di quei reperti ha permesso di dare una svolta importante al caso: "Si trattava di un telefono caduto a terra, frantumato e immerso nel sangue. Alcuni frammenti sono stati raccolti, messi in una piccola scatolina con una preghiera e un fiore. Per cinquant'anni sono stati tenuti in una valigia. Li abbiamo portati nel nostro laboratorio e verificato la presenza di sangue, capelli e peluria. C'era quindi del dna recuperabile. A quel punto ho dovuto informare l'autorità giudiziaria. Ho consegnato il materiale al collega Emiliano Giardina, docente dell'università Tor Vergata di Roma che si occupa di dna e repertazione. Le Autorità hanno quindi deciso di prendere tempo per procedere nel modo più adeguato".

Il telefono recuperato sulla scena del crimine
Il telefono recuperato sulla scena del crimine

"La nostra attività, dal punto di vista scientifico, ha comunque avuto risvolti clamorosi. Abbiamo presentato l'attività al congresso della Società Americana di Criminologia nel 2021 a Chicago, dove l'interesse è stato davvero elevato e oggetto di importante discussione scientifica. È stata la prima volta che l'autopsia psicologica ha permesso di recuperare materiale biologico da una scena del crimine di cinquant'anni prima. Abbiamo quindi scritto diversi articoli scientifici, partecipato a tre congressi e ricevuto un riconoscimento da parte dell'evento Focus a Milano. C'è stato un clamore notevole. Questo ha permesso, attraverso anche l'intervento del giornalista Andrea Galli del quotidiano Il Corriere della Sera, di poter recuperare, valutare e studiare i referti di tutte le autopsie fatte in quegli anni".

La scatoletta in cui erano conservati alcuni frammenti di telefono
La scatoletta in cui erano conservati alcuni frammenti di telefono

Attraverso lo studio delle ferite, è stato possibile comprendere che almeno otto donne su quei dodici isolati sono state uccise dalla stessa mano: "Una volta misurate le ferite, le loro posizioni e in particolare la presenza di triplette, il costante overkilling, abbiamo compreso che a uccidere potrebbe essere stata la stessa persona. Le dimensioni delle ferite, infatti, sono sovrapponibili. All'aspetto epidemiologico, si aggiunge anche quello criminologico. Abbiamo studiato le abitudini della Milano romantica di quegli anni. Le vittime erano tutte donne che lavoravano come prostitute. La mamma di Agostina Belli dirigeva un albergo dove alloggiavano studenti e dipendenti delle ferrovie. Alcune delle persone che abbiamo sottoposto all'autopsia psicologica, attraverso anche l'aiuto di Galli, erano presenti nel momento in cui le ragazze fissavano gli appuntamenti per il pomeriggio o la sera. Abbiamo poi identificato le clackson girls, un gruppo di prostitute di cui facevano parte due vittime Elisa Casarotto e Olimpia Drusin", ha proseguito Posa che ricorda come la loro attività sia di natura accademica e non investigativa.

Comparazione di coltelli per capire che arma è stata utilizzata
Comparazione di coltelli per capire che arma è stata utilizzata

È stata poi recuperata una fotografia che ritraeva proprio Elisa Casarotto con Margherita Dossena: "In questo modo è stato possibile dimostrare un ulteriore collegamento tra le vittime".

Come spiegato a Fanpage.it dal dottor Posa, gli investigatori dell'epoca erano già certi della presenza di un serial killer: "Il problema è stato che, in quegli anni, chi lavorava nella squadra mobile era concentrato su molti altri casi e gli agenti a disposizione erano pochi. I fascicoli quindi venivano chiusi molto rapidamente. Coloro che siamo riusciti a sottoporre all'autopsia psicologica, ci hanno spiegato che sapevano che probabilmente l'autore di questi delitti fosse uno solo".

Alcune riviste dell'epoca
Alcune riviste dell'epoca

C'è infine un altro elemento importante da non sottovalutare: "Gran parte delle vittime avevano un rapporto di confidenza con l'autore del reato. In più di un caso si sarebbero scambiati bicchieri di liquore, caramelle e sigarette. Anche la dinamica dell'omicidio sembrerebbe essere sempre uguale: le vittime sarebbero state colpite alle spalle, poi girate, atterrate e accoltellate molte volte. L'impronta dell'arma, inoltre, è la stessa su tutte le vittime".

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