Siete andati a votare? Bravi, ma se sperate che possa cambiare radicalmente qualcosa per l’economia italiana rischiate come detto più volte l’ennesima delusione. O almeno questo è quanto sembrano ritenere gli analisti delle maggiori case d’investimento straniere e italiane. Vi ho già raccontato di come il Credit Suisse avesse allertato i propri clienti in merito ai possibili esiti delle elezioni 2013, oggi voglio raccontarvi di quanto stanno dicendo da qualche giorno gli esperti di Mediobanca Secutiries. In un report datato 18 febbraio gli analisti hanno cercato di selezionare alcune “scommesse” positive (e indicare quelle potenzialmente negative) tra i principali titoli del listino di Piazza Affari. Il risultato non mi ha sorpreso ma merita di essere analizzato al di là dell'indicazione di questo o quel titolo perché smaschera ancora una volta molte delle vuote promesse sentite in campagna elettorale, come sempre raramente oggetto di “fact checking” da parte dei commentatori italiani.
Nonostante le numerose promesse elettorali (a voler tener fede alle quali si dovrebbero tagliare tra i 150 e i 225 miliardi di euro di tasse, cifra chiaramente insostenibile dai conti pubblici italiani), spiegano gli esperti, le principali tasse in Italia (Iva, Irap, Ires, Irpef) sono destinate a crescere o al massimo a rimanere stabili quest’anno e nel prossimo visto che “nonostante quel che dicono i partiti, l’unica certezza che abbiamo è che a partire dal prossimo anno il Fiscal Compact obbligherà l’Italia a conseguire un pareggio di bilancio che sospettiamo renderà molti dei tagli promessi semplicemente irrealistici”. Come direbbero a Napoli: “e v ‘aggia trattato…” Non solo: eventuali forti affermazioni del Pdl di Silvio Berlusconi o del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo rischierebbero di indebolirebbero ulteriormente quell’esecutivo Bersani-Monti su cui tutti scommettevano prima delle elezioni, anche se su questo punto gli uomini di Piazzetta Cuccia si mostrano prudenti, perché, spiegano, “paradossalmente il peggior scenario potrebbe in realtà trasformarsi nella migliore ipotesi”.
Non allarmatevi, non è un endorsment della grande finanza italiana al “nuovo” che avanza (o al “vecchio” che non vuole andare via, a seconda dei casi). Semplicemente per gli analisti in caso di un quadro politico instabile tornerebbe ad aumentare la “pressione sugli spread” tra Btp e Bund e questo costringerebbe l’Italia ad imboccare l’unica via d’uscita che agli esperti sembra “percorribile, stante la non sostenibilità dell’elevato debito pubblico del Paese: chiedere a Draghi di far scattare l’Omt” (il programma di acquisti di titoli di stato da parte della Bce in cambio dell’adesione a precise condizioni di risanamento dei conti pubblici). Ancora una volta si farebbe, con la scusa dell’emergenza improcrastinabile e sotto la minaccia dei mercati, quel minimo indispensabile di manutenzione ai conti pubblici che in tempi “normali” le decine di corporazioni e interessi contrapposti rappresentati in Parlamento impediscono di fare.
Certo, un aumento pressoché inevitabile delle tasse non aumenterà né la fiducia delle imprese né i consumi delle famiglia, sicché sembra inevitabile che rimarremo anche quest’anno in uno scenario di crisi, con inflazione modesta, disoccupazione elevata e sostanziale deflazione interna (i salari non saliranno, semmai caleranno in termini reali): in compenso sembrano esservi spazi per una riduzione (ma non un’eliminazione completa) dell’Irap su banche e imprese. Il taglio di un 1%, secondo gli esperti, potrebbe da solo far crescere del 5% gli utili medi delle banche italiane, che dunque sarebbero le maggiori beneficiarie del voto, qualunque sia l’esito (non ditemi che siete sorpresi di questa ipotesi). Molte alternative, spiegano gli uomini di Mediobanca Securities, non sembrano del resto esservi: il taglio delle spese (al posto dell’aumento delle imposte, necessario in assenza di crescita a ridurre il debito pubblico italiano) potrebbe avvenire in maniera significativa solo aggredendo le voci che maggiormente pesano sul welfare italiano, ossia le pensioni (40% delle spese totali), la salute (15%) o l’educazione (8%). Spese che si sono dimostrate negli anni del tutto anelastiche, continuando cioè a crescere quasi automaticamente indipendentemente dall’andamento del Pil. Ma tagliare queste voci di spesa non appare semplice (e quasi certamente, aggiungo io, non porterebbe a benefici anche solo pari ai disagi che causerebbe).
E la “lotta all’evasione” che ogni tanto viene indicata come virtuosa via d’uscita per far “pagare il giusto” a tutti e non spremere i “soliti noti”? Finora, notano gli esperti, nessun governo è mai riuscito a ridurre significativamente quei 150 miliardi di euro l’anno di “nero” ma sognare non costa niente. E se vogliamo sognare possiamo anche pensare di vedere incentivi per far ripartire la crescita, verosimilmente attraverso un irrobustimento delle esportazioni, ma quali? Nel concreto secondo gli analisti si potrebbero forse vedere riduzioni dell’Irap per le società che producono in Italia beni destinati all’estero o crediti fiscali concessi in proporzione alla quantità di esportazioni rispetto alla produzione complessiva. Anche perchè “queste misure potrebbero rappresentare un gioco a somma zero per il governo, con gli sconti fiscali compensati da una maggiore crescita del Pil e maggiori consumi. In più potrebbero attrarre (investimenti da) compagnie straniere ora che le paghe in Asia e nell’Europa dell’Est sono salite significativamente”. Molti altri paesi (a partire dagli Usa) del resto già adottano misure simili, ma “il problema principale – spiegano gli esperti – sarà disegnare tali incentivi in modo che non contrastino con le norme Ue contro gli aiuti di stato”. Il che non è impossibile visto che incentivazioni all’export esistono già in altri paesi europei, ma potrebbe richiedere del tempo prima che le misure siano messe a punto tecnicamente.
Insomma: il voto sarà importante, da esso dipenderà la solidità o meno del nuovo esecutivo, la sua credibilità in Europa, la necessità o meno di chiedere aiuto alla Bce. Ma non sperate che la situazione domattina sia diversa da quella che era venerdì scorso. Il sistema italiano è irrigidito da decenni di pratiche corporative, da una cultura che ha tollerato troppo a lungo il “nero” , che si è adattata a convivere con una burocrazia soffocante e una diffusa illegalità anche all’interno delle istituzioni (vedasi alla voce “corruzione”) oltre che al suo esterno (vedasi alla voce “criminalità”). Cambiare è possibile ma richiederà tempi tecnici medio-lunghi. Credere che le cose possano cambiare dall’oggi al domani significa voler continuare ad illudersi e non voler guardare in faccia una realtà ogni giorno più difficile. Sarebbe forse l’errore peggiore, dunque cerchiamo di non caderci.