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Opinioni

Mediobanca e il capitalismo italiano che cambia

Anche Standard & Poor’s certifica la maggiore fragilità della ripresa italiana. In attesa di riforme che rilancino il “Belpaese”, qualcosa sta lentamente cambiando nel nostro capitalismo: i salotti buoni sono al tramonto mentre resta alto l’interesse per il meglio del “made in Italy” da parte di investitori italiani ed esteri.
A cura di Luca Spoldi
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L’economia italiana registrerà quest’anno un calo dell’1,9% del Pil, destinato il prossimo anno a rimbalzare (si fa per dire) dello 0,4% e di un appena più convincente +0,9% nel 2015. La previsione è di Standard & Poor’s, più prudente dell’Ocse per l’anno in corso (l’organizzazione internazionale pronostica ufficialmente una caduta del Pil nel 2013 di “solo” l’1,8%) e più in generale molto più cauta per il “Belpaese” che non per altri paesi membri della Ue che pure non se la passano bene come la Spagna (il cui Pil dovrebbe calare dell’1,5% quest’anno per poi risalire dello 0,5% e dell’1,1% nel prossimo biennio) o la Francia (Pil stabile quest’anno, +0,7% nel 2014, +1,4% l’anno successivo) per non dire la Germania (+0,4%, +1,6% e +1,7% le previsioni relative alle variazioni annue del Pil nel triennio).

Insomma, anche se per gli esperti americani l’Eurozona potrebbe aver visto il punto  peggiore della crisi economica nel secondo trimestre di quest’anno, una ripresa “robusta” è ben al di là dal venire, specie in Italia dove, non vorrei ripetermi, servono da anni ma ancora non si vedono all’orizzonte riforme strutturali che riducano la burocrazia, migliorino la qualità della spesa pubblica, incentivino la ricerca e l’innovazione, ridefiniscano la politica industriale ed energetica del paese e, ultimo ma non meno importante, affrontino i nodi da tempo irrisolti del modello del credito, del capitalismo familiare italiano, della giustizia e della politica. Nel frattempo qualcosa si muove, sia pure “obtorto collo” più che per mutata convinzione, nel settore finanziario. Mediobanca, un tempo “custode” del capitalismo italiano (quello stesso che ha poi prodotto casi di malagestione come coi Ligresti o coi Riva), ha più volte ribadito, l’ultima ieri durante una conference call (che potete sentire qui) in cui sono stati illustrati i risultati dell’esercizio 2012-2013, che patti di sindacato e partecipazioni incrociate sono “eredità del passato”.

Eredità di cui l’amministratore delegato, Alberto Nagel, sembra volersi disfare quanto prima possibile. Così dopo aver riclassificato tutte le partecipazioni (tranne quella in Generali, che si dovrà comunque ridurre dal 13,6% al 10% entro la fine dell’anno venturo) come titoli “Afs” (disponibili per la vendita), con relativa svalutazione ai valori di mercato (cosa che ha significato 404 milioni di svalutazioni ed ha portato il bilancio a chiudere con una perdita netta di 180 milioni di euro, con conseguente azzeramento del dividendo per i soci) lo stesso Nagel ha invitato Generali (dove l’amministratore delegato Mario Greco è a sua volta impegnato in un processo di progressiva dismissione di partecipazioni non più “strategiche”) a “uscire dal patto di Mediobanca, perché sarebbe una decisione più coerente con la strategia annunciata dal gruppo” di Trieste (che di Mediobanca possiede il 2%).

Il manager ha poi escluso nuovi investimenti in Telco/Telecom Italia ribadendo di essere “piuttosto venditori” che non interessati “a metterci nuovi soldi” in un’azienda che negli ultimi tre anni non ha saputo offrire particolari soddisfazioni ai soci e che ha sempre più pressanti necessità di rafforzamento patrimoniale per evitare un declassamento del proprio debito (probabilmente tramite un aumento eventualmente legato all’ingresso di un nuovo socio, dato che l’ipotesi di un aumento del peso di Telefonica sembra improbabile per lo stesso motivo oltre che per il rischio che l’Antitrust brasiliano o quello argentino chiedano poi al gruppo spagnolo di cedere Tim Brasil o Telecom Argentina). Sempre in tema di cessione di partecipazioni il 10% di Gemina, fusasi con Atlantia, verrà ceduto mentre non lo sarà il 5,9% di Sintonia (finanziaria della famiglia Benetton controllata da Edizione), per risolvere una “duplice esposizione” verso il gruppo Benetton che non si giustificava più.

A chi non è addentro alle storie di borsa potrà sembrare una novità da poco (anche perché non è chiaro cosa succederà ad altre partecipazioni, come Rcs MediaGroup, dove Mediobanca è ridiscesa poco sotto il 15% dal 15,5% raggiunto dopo l’ultimo aumento di capitale, piuttosto che in altre società come Pirelli & C. (4,49%), Italmobiliare (5,47%), Saks (3,46%), Burgo (22,13%), Edipower (4,10%), piuttosto che Santè (9,92%) o Banca Esperia (50% con Mediolanum, altro socio al 50%, che più volte è già apparso tentato dal cedere la propria quota). Ma il tramonto dell’era dei “salotti buoni” rappresenta potenzialmente una svolta epocale, come e più della separazione delle grandi reti dell’energia, del gas e della telefonia di cui si discute da tempo, una svolta del resto inevitabile visto la crisi epocale attraversata dall’economia italiana.

Nel frattempo, senza troppo clamore, la joint venture tra Cassa depositi e prestiti (sempre più “tirata in ballo” nei processi di separazione della proprietà delle reti infrastrutturali da quella degli ex monopolisti di settore) e Qatar Holding (fondo sovrano dell’emirato arabo da tempo interessato all’Italia, avendo ad esempio già rilevato il marchio Valentino, gli alberghi della Costa Smeralda e il Baglioni Hotel di Firenze), sembra pronta a mettere un primo “piedino” in Versace, offrendo 200 milioni di euro (150 tramite aumento di capitale, gli altri 50 milioni per rilevare una parte dei titoli in mano alla famiglia Versace) coi quali la casa della Medusa proverà a rafforzare la propria crescita sui mercati dell’Asia. Segno che il meglio del “made in Italy” continua a piacere e non poco sia in casa sia all’estero e che, forse, un futuro può esistere ancora per le nostre aziende nonostante tutti i limiti del “sistema Italia”. Sarebbe il caso di riflettere per tempo e cercare di fare in modo di aver voce in capitolo per decidere quale futuro vogliamo che sia.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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