Della mediazione obbligatoria Italiana ci siamo già occupati in alcuni precedenti articoli, evidenziando l’incongruità della normativa e le problematiche “operative” dell’istituto.
Volendo riannodare il filo del discorso è opportuno ricordare che la mediazione è stata introdotta con il Decreto Legislativo del 4 marzo 2010 n. 28, ha prima fissato la data dell'udienza nel 2012 e poi la Corte Costituzionale ha eliminato la mediazione, ma il legislatore del 2013 ha deciso di riproporre l’istituto, (prima con il Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69 convertito in Legge del 9 agosto del 2013 n. 98) apportando delle modifiche che hanno lo scopo di eliminare alcune distorsioni presenti nella pregressa normativa (se, poi, tali modifiche daranno i risultati sperati sarà solo il tempo a dirlo).
L’introduzione della mediazione obbligatoria è dovuta all’esigenza dello Stato di ridurre i tempi dei processi.
Infatti, lo Stato a fronte del fallimento di tutti i metodi usati per ridurre i tempi dei giudizi (es. aumento del numero dei magistrati onorari e togati, modifiche del codice di procedura ecc., ma, forse, non c’è mai stata la volontà di intervenire realmente sul tema) ha individuato un ulteriore modo per migliorare il sistema giustizia, in particolare il legislatore ha deciso predisporre un filtro pre-contezioso, che dovrebbe ridurre il numero dei giudizi, riducendo, così, i tempi dei processi.
L’idea di ridurre i tempi dei processi è, naturalmente, buona, il problema, semmai, è dato dal fatto che la mediazione, per come pensata, costruita, modificata ed attuata è assolutamente inidonea. L’inidoneità si nota fino dal momento della “costruzione” dell’istituto, infatti,
- a) il filtro pre-contenzioso può essere costruito come una fase (pre-processuale) in cui i due litiganti possano valutare le proprie “carte” (per avere un parere sulle proprie posizioni giuridiche) anche simulando l’esito del processo (attività comune negli Usa), queste attività non sono “estranee” alla mediazione, poiché questo istituto può caratterizzarsi come mediazione valutativa della posizione del singolo o della pretesa del singolo;
- b) il filtro pre-contenzioso può essere costruito anche come una fase di “conciliazione” e/o “persuasione” sempre precedente al processo, ma lasciata al “buon cuore” delle parti e/o alle tecniche persuasive degli altri protagonisti della vicenda (mediatore), insomma, un filtro pre-contenzioso basato su una mera mediazione facilitativa.
Entrambe le ipotesi di mediazione (facilitativa e valutativa) hanno un dato in comune: l’onere della giustizia è spostato dallo Stato al cittadino e il costo è addossato al cittadino, ma il costo della mediazione produce effetti completamente diversi. Infatti, le due mediazioni sono notevolmente diverse quanto a “risultati”.
Questo perché nell’ipotesi della mediazione valutativa (ipotesi sub “a”) la fase di valutazione delle proprie posizioni si conclude con un elemento oggettivo e concreto (una valutazione della propria posizione giuridica) che prima le parti non avevano; le parti possono usare questo elemento per decidere se continuare (o meno) a sostenere le proprie posizioni in un giudizio vero e proprio. In altri termini, anche se la parte paga per affrontare questa fase pre-conteziosa, ottiene un’ulteriore valutazione della situazione giuridica.
Con la mediazione facilitativa (l’ipotesi sub “b”), al contrario, viene imposto alle parti di pagare un procedimento pre-contezioso, in cui a fronte di un sicuro onere economico, le parti ottengono solo un tentativo di persuasione diretto a spronare i litiganti spingendoli all’eliminazione del contenzioso per la loro bontà d’animo, insomma, si paga, ma in cambio non si ottiene nessun (sicuro) risultato posto che il tutto è lasciato al buon cuore delle parti e all’estro del mediatore (il quale non deve, neppure, avere conoscenze giuridiche).
Altra differenza tra le due opzioni riguarda la tipologia professionale e l’onorario della persona chiamata a rendere efficace il filtro, nel primo caso (sub “a”) è ovvio che il mediatore è un professionista esperto della materia, nel secondo caso (sub “b”) non è necessaria la conoscenza della materia giuridica.
Naturalmente, il legislatore Italiano ha scelto (e confermato) l’opzione per la mediazione facilitativa.
Descritta, in modo sommario, la mediazione si può passare ad analizzare le materie oggetto della stessa. Anche il semplice elenco delle materie spiega perchè la mediazione facilitativa è destinata a fallire, in quanto dovrebbe operare su materie molto complesse, per le quali i litigati (nel 90 % dei casi) richiedono la regolamentazione della situazione mediante l’applicazione di norme e principi giuridici saldi e non chiedono di “essere spronati” a raggiungere una benevolenza reciproca, la quale dovrebbe porre fine alla lite.
In particolare, le materie oggetto della mediazione obbligatoria sono indicate nell’art. art. 5 comma 1 bis e sono condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento per responsabilità medica e sanitaria, diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.
Procedimento di mediazione. Prima di iniziare un processo le parti litigati devono depositare una istanza di mediazione presso un ente di mediazione, l’organismo di mediazione ha il potere di nominare, in modo discrezionale, un mediatore (iscritto nelle liste del medesimo ente).
Il mediatore non deve avere specifiche conoscenze giuridiche. Il mediatore, una volta nominato, facendo leva sulle sue doti persuasive cercherà di “invogliare” o “spronare” le parti a trovare un accordo.
Il costo di questa procedura è interamente a carico dei litiganti, l’onorario viene pagato dalle parti all’ente di mediazione (e non al mediatore direttamente), poi, sarà l’ente di mediazione, che ricompenserà il mediatore.
La mediazione può fallire (cioè può chiudersi senza accordo come avvenuto nel 70 % dei casi secondo i dati del ministero) oppure chiudersi con un accordo (30 % dei casi secondo i dati del ministero). Se l’accordo dove essere trascritto è necessario l’ausilio di un notaio (il cui costo si aggiunge ai precedenti).
Non tutti sanno che anche nell’ipotesi in cui si riesce a trovare un accordo durante la mediazione, per la legge non è sufficiente un “qualsiasi accordo”, ma è necessario che l’accordo sia valido (art. 12). La validità degli accordi è accertata dal Tribunale mediante omologazione. È opportuno notare che fino a oggi non è dato sapere quante omologazioni sono state concesse dai Tribunali (e non è dato sapere quanti notai abbiano partecipato ai procedimenti di mediazione), il motivo di questa omissione è semplice da spiegare, infatti, quante possibilità ci sono che da mediazioni su materie complesse come quelle della mediazione obbligatoria (e affidate a mediatori privi conoscenze giuridiche) possano derivare accordi validi ?
Il legislatore del 2013 ha cercato di eliminare alcune delle incongruenze della mediazione.
Avvocati mediatori di diritto (ex art. l’art. 16 comma 4 bis). Il legislatore avrebbe dovuto imporre, per il conseguimento del titolo di mediatore, specifici requisiti e conoscenze, soprattutto giuridiche, (contrastando la teoria secondo la quale i mediatori non devono conoscere il diritto), ma il legislatore pur lasciando libero l’accesso alla professione di mediatore, ha preferito, (invece), stabilire che tutti gli avvocati sono mediatori di diritto (!).
La norma cerca di eliminare la favola secondo al quale il mediatore non deve sapere nulla di diritto e cerca di eliminare il lucro derivante dai corsi di mediatore.
Appena entrata in vigore la legge (marzo 2011) la mediazione (il titolo di mediatore) veniva “spacciato” o “venduto” come un mezzo per ottenere una fonte di guadagno e di reddito, i destinatari di questo messaggio erano tutti quei soggetti che (giovani o meno) che cercavano un piccolo reddito ed erano pronti a spendere cifre considerevoli per un corso di formazione.
Ottenuto il titolo di mediatore, il povero mediatore scopriva che tale titolo a nulla serviva, perché anche se la legge prevede (anche oggi) che per diventare mediatore è sufficiente svolgere un corso di 50 ore (con esame finale di 4 ore), a cui possono partecipare tutti coloro che hanno una (qualsiasi) laurea triennale o siano iscritti ad un albo professionale, in nessun modo l’ente di mediazione in presenza di così bassi o scarsi livelli di preparazione giuridica avrebbe affidato ad un mediatore (es. laureato in lingue arabe) una mediazione in materia di servitù o un legato in sostituzione di legittima (o altra materia obbligatoria) la quale richiede un’alta specializzazione giuridica.
Per cui, l’attribuzione all’avvocato del titolo di mediatore di diritto permette di eliminare la favola secondo la quale il mediatore non deve avere conoscenze giuridiche e tenta di impedire la formazione dei mediatori come mera occasione di guadagno. Certo, sarebbe interessante chiedersi cosa ne pensano ora tutti coloro che hanno pagato profumatamente un corso per ottenere il titolo di mediatore e che pur iscritti ad un ente di mediazione non hanno mai svolto (e mai svolgeranno) nessuna mediazione.
Assistenza avvocato. Il legislatore del 2013 ha introdotto (art. 5 comma 1 bis e art. 8 comma 1) l’assistenza dell’avvocato nel procedimento di mediazione, in altri termini, le parti litiganti non possono più presentarsi in mediazione da sole, ma devono essere assiste da un avvocato. È opportuno precisare che si tratta di mera assistenza e non rappresentanza, la quale richiederebbe una procura.
L’introduzione dell’assistenza dell’avvocato l’assistenza legale ha due finalità oggettive
- serve per garantire un “comportamento” corretto degli enti di mediazione e dei mediatori. La presenza dei legali, di fatto, sostituisce i controlli del ministero sugli enti di mediazione, controlli che non sono stati mai effettuati (questo perché effettuare dei controlli ha un costo in termini economici dovuti, quanto meno, alla predisposizione di un apparato di funzionari pubblici demandati ad effettuare i controlli, e sarebbe stato illogico da un lato dire che la mediazione riduce le spese di giustizia, dall’altro aumentare le spese per effettuare dei controlli sugli enti di mediazione che dovrebbero ridurre le spese di giustizia). In altri termini, il legislatore si è accorto di pratiche anomale, ma preso atto dell’impossibilità di effettuare controlli da parte della pubblica amministrazione, ha deciso di demandare il controllo alle parti (addossandone anche il relativo costo)
- inoltre, il legislatore ha preso atto che in materie giuridicamente molto complesse come quelle oggetto della mediazione obbligatoria, è pura follia pensare che soggetti privi di ogni rudimentale conoscenza giuridica (e ci riferisce alle parti in lite e agli stessi mediatori) possano giungere a qualche risultato giuridicamente rilevante e soprattutto lecito.
Competenza territoriale dell’organismo. La scelta dell’organismo di mediazione è (e resta) affidata alla parte che inizia la mediazione, ma, al fine di evitare abusi l’organismo (liberamente scelto dalla parte che inizia la mediazione) deve trovarsi nel luogo dove si trova la sede territorialmente competente del giudice che dovrà decidere la lite (art.4). La legge del 2013 ha inserito la competenza territoriale degli enti di mediazione, questo limite serve a cercare di contenere una serie di aberrazioni che si erano registrate in passato come la possibilità:
- che un litigante di Aosta intentasse mediazione a Palermo onde porre ostacoli alla controparte;
- impedire il proliferare di sedi “secondarie” degli enti di mediazione a discapito della qualità del servizio reso e della professionalità del personale dell’ente, al solo fine di incassare il lucro derivante dalle domande di mediazione;
- alzare il livello degli enti di mediazione, infatti, sarà responsabilità dell’ente rilevare l’incompetenza territoriale e respingere l’istanza, in mancanza sarà responsabile per i danni causati alle parti.
Primo incontro specifico. Altra modifica apporta dal legislatore del 2013 (ex art. 8 comma 1) è quella relativa all’introduzione di un primo incontro (di programmazione e verifica delle possibilità di mediazione) separato dagli (eventuali) successivi incontri con i quali inizia la vera e propria procedura di mediazione (a tal proposito è chiaro il disposto dell’art. 8 comma 1 “Il mediatore nel primo incontro, invita le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione”).
In altri termini, il primo incontro serve solo a valutare se è possibile continuare e giungere ad una mediazione, in caso contrario, la procedura di mediazione è conclusa.
Primo incontro gratuito. L’art. 17 comma 5 ter prevede che “Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”. Questo articolo è l’innovazione più importante inerita dal legislatore del 2013 nella mediazione, in quanto diretto a colpire coloro che hanno visto nella mediazione una fonte di mero lucro (del resto, se il valore medio di ogni singola mediazione si aggira intorno a 93.000 (dati ministero 2011) è intuitivo pensare che conviene partecipare alla spartizione della torta.
La novità colpisce gli enti di mediazione costituiti solo al fine di intercettare un mero guadagno. Infatti, in passato si doveva pagare l’ente di mediazione anche quando già al primo incontro la mediazione falliva, (e secondo i dati del ministero il 70% delle mediazioni falliva al primo incontro), questo significava che l’organismo di mediazione incassava anche quando nessuna attività concreta veniva posta in essere e, si intuisce che, in tali ipotesi, l’organismo di mediazione riceveva una rendita solo per il fatto di esistere, rendita, di fatto, a carico del sistema paese.
Il Ministero della Giustizia e il CNF hanno imposto il pagamento di una indennità per il primo incontro