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Matteo Renzi, il Bonaparte distruttore di un partito mai nato

Sul terreno del lavoro lo scontro fra minoranza e maggioranza (renziana) del Pd. E, mentre c’è chi pensa alla scissione, la sensazione è che per la prima volta la discussione non sia sul futuro del partito, ma sulla sua natura.
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I prossimi passaggi parlamentari, lo Sblocca Italia e la legge di stabilità 2015, certificheranno quello che dichiarazioni, interviste e frecciatine stanno anticipando: la maggioranza renziana e la minoranza del Pd (spalleggiata su alcuni temi dalla Cgil) sono ormai su fronti opposti, in piena, aperta e pubblica, contrapposizione e forse (ma forse) al punto di non ritorno. Il terreno su cui si è consumato lo strappo è quello della riforma del mercato del lavoro, come ultima frontiera "ideale" della sinistra, ma soprattutto perché l'impianto del Jobs Act (e più in generale l'atteggiamento degli esponenti del Governo a guida Pd) ha messo in discussione il rapporto organico con il sindacato. Ma a far emergere in maniera dirompente contraddizioni, malumori e divergenze più o meno profonde, è stata paradossalmente la modalità con la quale i dirigenti Pd / il Governo hanno scelto di procedere, scegliendo di fatto la rottura e presentando quello in atto come lo scontro fra passato e futuro, fra precari e garantiti, fra la conservazione e la rivoluzione. Una precisa volontà politica che si è giovata della formidabile macchina del consenso renziana e dei tanti limiti della controparte, sia dal punto di vista comunicativo che da quello programmatico. E che ha visto nella scelta di contrapporre una versione riveduta e corretta della Leopolda alla manifestazione della Cgil a Roma una delle mosse più azzardate ma politicamente significative degli ultimi anni.

Perché (e per chi) la Leopolda

Cosa è cambiato dalla Leopolda di lotta a quella di Governo? Tutto e niente, verrebbe da rispondere. La kermesse fiorentina è stata di nuovo il tempio del renzismo, una vetrina unica per la classe dirigente cresciuta all'ombra dell'ex Sindaco (o salita sul suo carro in tempo utile), un modello efficace per veicolare l'immagine di una "diversità" e di una alterità rispetto alle forme tradizionali della discussione politica, un momento per riallacciare una narrazione a volte molto frammentaria e tenuta insieme quasi esclusivamente dalla figura del leader. Che infatti era ancora lì a tirare le fila della discussione, a presentare gli ospiti, a lanciare i filmati, malgrado sia il Presidente del Consiglio di una nazione del G8 e non il leader di una corrente interna al primo partito italiano (ma non dite la parola "corrente" lì dentro, mi raccomando).

Ma c'era qualcosa che non torna nella Leopolda di Governo. O, per meglio dire, qualcosa di profondamente diverso rispetto alle edizioni precedenti. Quasi per forza di cose, diremmo. Ed era evidente proprio nella fase di discussione tematica sui tavoli. A dominare, la sensazione del "già deciso", della "conduzione personale", dell'atto di fede che sostituisce il contributo critico (ed individuale), dell'ascolto passivo di fronte ai relatori (peraltro non sempre notissimi…). Anche perché ai tavoli c'erano davvero tutti i big della squadra di Governo, lì a giochi fatti e senza elezioni, rimpasti, congressi in vista, per di più senza bisogno di sgomitare per un posto al sole. Quella andata in scena era un esempio della disintermediazione a senso unico, che assomiglia paradossalmente proprio al modello "agorà" sperimentato dai 5 Stelle.

È stata, a parere di chi scrive, la chiusura di un percorso e la celebrazione dell'ultimo atto di una esperienza non replicabile. Altro che la corrente Leopolda, siamo al Governo Leopolda, un gruppo dirigente guidato da un leader che in qualche modo è già oltre le dinamiche di partito. Del resto, stiamo parlando di un segretario di partito che ha sempre messo gli organismi dirigenti del Pd di fronte al fatto compiuto, chiedendo alle varie direzioni la ratifica di decisioni prese altrove (su riforme costituzionali e Jobs Act, ad esempio); un segretario che può imporre le decisioni, forte della leva del consenso e dell'assenza di avversari politicamente forti sia dentro che fuori il Parlamento; un segretario che formalmente rispetta luoghi e dinamiche del vecchio partito, ma che di fatto le svuota di contenuto, in nome di una sorta di bonapartismo bonario e paternalista e dell'ossessione del consenso.

Ma davvero Renzi ha ammazzato il (vecchio) Pd?

Può una conduzione di questo tipo, peraltro supportata da una pletora di integralisti e fanatici della religione renziana, contemplare l'esistenza di una minoranza organizzata, tanto nel Parlamento quanto nel partito? Secondo molti no (e qui Ciro Pellegrino argomenta il perché), secondo altri (e con fatica ci iscriviamo a questo gruppo) si tratta invece della normale dialettica in un partito che si intende inclusivo e proiettato verso un vero bipolarismo (qui per la verità di mettono insieme "vocazione maggioritari" e una forma spuria di "partito della nazione", che non piace nemmeno a Reichlin da cui si è presa in prestito la definizione). E l'idea che si arrivi ad un contenitore in grado di tenere assieme istanze diverse e anche conflittuali non è completamente da scartare, come del resto dimostrano le esperienze americane e francesi, ad esempio. Non che sia semplice, è chiaro, ma per citare Bobbio, "è da tempo che i partiti della sinistra discutono del loro futuro senza discutere della loro natura".

Manca però una riflessione su ciò che è stato il Pd prima dell'avvento di Renzi. Nella pratica politica (avvisate Piccolo, la "purezza delle idee" e l'integralismo non sono mai appartenuti al vecchio gruppo dirigente, che ha per anni praticato la politica del compromesso e del consociativismo), nella considerazione dei militanti e dei tesserati (con le battaglie congressuali a colpi di tesseramenti monstre, con le truppe cammellate eccetera), nel rapporto fra maggioranza e opposizione interna (ma sul serio si rimpiangono le direzioni dell'era Bersani o di quella Franceschini?), nella scelta dei dirigenti (spoil sistem, cooptazioni, logiche di apparato): insomma, davvero qualcuno intende darci a bere l'idea del barbaro distruttore (Renzi) del paradiso della politica e della trasparenza? Davvero qualcuno crede che il vecchio Pd sia stato la forza politica che ha lottato "contro le ingiustizie sociali e messo al centro della sua azione il tema dell’uguaglianza e del lavoro?"

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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