Mattarella pronto a sciogliere le Camere: cosa succede adesso
La conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni stavolta potrebbe essere un passaggio fondamentale per tutta la politica italiana. Domani, infatti, dopo il tradizionale incontro con la stampa per fare il punto di quanto avvenuto nel 2017, si potrebbe procedere con lo scioglimento delle Camere e l’indizione di nuove elezioni. Il 28 dicembre è quindi la data in cui si potrà mettere fine a questa legislatura per proiettarsi verso la prossima con oltre due mesi di campagna elettorale e il voto che dovrebbe essere previsto per il 4 marzo.
L’unica vera incognita sembra essere lo Ius Soli: il presidente della Repubblica potrebbe decidere di far slittare lo scioglimento dei due rami del Parlamento in caso di chiari segnali verso l’approvazione della legge sulla cittadinanza, a cui lo stesso capo dello Stato Sergio Mattarella sembra tenere particolarmente. Ma finora questi segnali non si sono visti neanche in lontananza. Anzi, il mancato numero legale nell’ultima seduta del Senato e il conseguente rinvio della discussione sullo Ius Soli al 9 gennaio sembra porre definitivamente una pietra sopra le legge.
Come si sciolgono le Camere
L’atto formale di scioglimento spetta al presidente della Repubblica con un decreto. Compito di Mattarella sarà quello di sentire il presidente della Camera, Laura Boldrini, e quello del Senato, Pietro Grasso, a cui chiedere un parere obbligatorio ma non vincolante. Dopo il capo dello Stato riceve anche il presidente del Consiglio Gentiloni, che potrebbe essere accompagnato dal ministro dell’Interno Marco Minniti. A quel punto procede allo scioglimento e al decreto di indizione delle elezioni. Una volta passati questi step Mattarella dovrebbe chiedere a Gentiloni di rimanere in carico per gli affari correnti. Ma, in questo caso, non è detto che il presidente della Repubblica non richieda qualcosa in più al presidente del Consiglio, considerando i possibili rischi di mancanza di una maggioranza dopo il voto. In sostanza, Gentiloni potrebbe rimanere a ricoprire il suo ruolo a pieno titolo fino all’ultimo giorno anche a garanzia dell’inizio della nuova legislatura.
Prima dello scioglimento, quindi, Mattarella deve attenersi all’articolo 88 della Costituzione: “Il presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di essere. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto in parte con gli ultimi sei mesi della sua legislatura”. Caso che non riguarda, comunque, Mattarella.
Una volta firmato il decreto presidenziale di scioglimento dal capo dello Stato, la palla passa al Consiglio dei ministri: suo compito è approvare lo schema di decreto per fissare la data per lo svolgimento delle elezioni politiche e per la prima riunione delle nuove Camere. Solitamente lo scioglimento, la data del voto e la prima seduta del Parlamento vengono comunicati con una nota del Quirinale.
Secondo quanto previsto dalla legge, dal momento del decreto firmato da Mattarella si andrà al voto non prima di 45 giorni a partire dalla pubblicazione del decreto di fissazione dei comizi elettorali e non oltre i 70 giorni dallo scioglimento. Poi per il presidente del Consiglio ci sono varie possibilità: Gentiloni potrebbe dimettersi o non dimettersi e rimanere in carica per gli affari correnti ma non solo. E anche in caso di sue dimissioni, il presidente della Repubblica potrebbe respingerle come già avvenuto alcune volte in passato.
Cosa succede dopo il voto
L’articolo 61 della Costituzione prevede che “le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. La prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni. Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti”. Perciò, se si andrà al voto il 4 marzo entro il 24 dello stesso mese deve riunirsi per la prima volta il nuovo Parlamento. Si procede così all’elezione dei due presidenti delle Camere. Per quanto riguarda il Senato, l’elezione deve avvenire entro quattro scrutini. Alla Camera, invece, si vota a oltranza fino a che un candidato non ottenga la maggioranza assoluta dei voti.
Dopo il voto, in caso di mancata vittoria netta di una coalizione, iniziano da subito i contatti tra le varie forze politiche e informalmente anche con il Colle. Si può, in caso di risultati non chiari, arrivare anche a intese che vanno oltre le coalizioni elettorali. Una possibilità non molto remota, considerando sia la legge elettorale in vigore che non fornisce un premio di maggioranza, sia il precedente dell’ultima legislatura, quando – in mancanza di un vincitore chiaro – è nato il governo delle larghe intese.
Queste eventuali intese verranno subito messe alla prova con l’elezione dei presidenti dei due rami dell’Assemblea. L’incognita è quella del voto segreto: eventuali franchi tiratori sull’elezione delle due cariche dello Stato più importanti dopo il presidente della Repubblica potrebbe essere un chiaro segnale in grado anche di far cadere l’accordo nella nuova maggioranza. E a quel punto riprenderebbero i contatti per capire se e come sarà possibile formare un nuovo governo.