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Marò, ricorso dell’Italia: “Senza accuse vanno rimandati a casa”

L’Italia presenta ricorso contro i ritardi delle autorità indiane sostenendo che sono un’offesa alla Corte Suprema indiana.
A cura di Antonio Palma
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Nei continui rinvii delle autorità di New Delhi sul caso dei marò italiani  c'è un comportamento configurabile come un'offesa alla Corte Suprema indiana che aveva richiesto decisioni rapide e puntuali sul caso. E' quanto sostenuto dall'Italia nel nuovo ricorso presentato al massimo tribunale indiano per sbloccare la vicenda dei due fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone da quasi due anni  in stato di fermo nel Paese asiatico. Nello specifico nel ricorso che l'Italia ha presentato alla Corte Suprema sulla vicenda dei marò si sostiene che "nel comportamento indiano è configurabile una figura di offesa al massimo tribunale" perché per un anno non è stato fatto nulla di quanto raccomandato. Secondo l'Italia sono molti i dettami non rispettati dalle autorità indiane, dalle indagini non concluse al processo ancora da iniziare, passando per l'applicazione della legge antiterrorismo che non è fra quelle indicate dalla Corte Suprema.

"Subito il processo o marò a casa" – Nel ricorso presentato alla Corte Suprema, l'Italia chiede quindi che "si presentino subito i capi d'accusa senza l'utilizzazione della legge antiterrorismo", che prevede anche la pena di morte e per questo già esclusa dall'Alta Corte del Kerala, o in alternativa che "si autorizzino i marò a rientrare in Italia per attendere i tempi del processo indiano". Il ricorso dell'Italia dovrebbe essere esaminato dalla Corte Suprema indiana per una valutazione preliminare della sua ammissibilità nei primissimi giorni della prossima settimana.

 

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