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Mario Draghi (Bce) prende tempo, ancora

Mario Draghi, numero uno della Bce, spiega che al termine di una “approfondita” discussione si è deciso di non toccare nè tassi nè incentivi. Intanto però la ripresa si allontana ancora e prender tempo non serve a molto…
A cura di Luca Spoldi
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In seno alla Bce c’è stata una discussione “approfondita” su ogni ipotesi possibile in merito ai tassi, ma dato che le prospettive di crescita dell’Eurozona hanno ancora “qualche prospettiva di ripresa” nella seconda parte dell’anno, si è deciso a maggioranza di non modificare nulla, mantenendo i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale rimarranno invariati rispettivamente allo 0,50%, all’1,00% e allo 0,00%. Lo ha segnalato oggi in conferenza stampa il numero uno della Bce, Mario Draghi, secondo cui l’Omt (il programma di acquisti condizionati sul mercato di titoli di stato di emittenti “virtuosi” ma in difficoltà) è stato “probabilmente la misura monetaria di maggior successo tra quelle prese di recente” (pur non essendo mai stata attivata nel concreto).

Tutto bene? Mica tanto, visto che contemporaneamente le stime della Bce in merito al Pil di Eurolandia per il 2013 sono state portate a -0,6% contro -0,5% indicato tre mesi fa e quelle sull’inflazione sempre per il 2013 sono state ridotte a loro volta a +1,4% da +1,6%. Per il 2014 la Bce parla ora di Pil di Eurolandia in crescita dell’1,1% (dal precedente +1%) e di un’inflazione ancora in calo a +1,3%. Per essere chiari: di ripresa ad oggi non se ne vede traccia in Eurolandia e si è costretti a sperare che prima o poi si manifesti, per tener buoni i mercati finanziari (che infatti dopo la conferenza stampa hanno nuovamente azzerato i modesti rialzi visti al mattino), in attesa che passino le elezioni politiche tedesche in calendario a settembre e si possa portare i tassi in territorio negativo o inventarsi qualcosa d’altro per far finalmente ripartire un’economia che sta letteralmente marcendo, sia pure tra “virtuosi” passi in avanti in materia di disciplina fiscale.

L’austerity, intesa come oculatezza nella spesa pubblica e privata, andava adottata, culturalmente e concretamente, negli anni buoni in cui di crescita ce n’era in abbondanza (non sforzatevi con la memoria, succedeva anche in Italia fino a non più di 10-15 anni or sono, quando commercianti, liberi professionisti e imprenditori erano ancora generalmente benestanti e non “nuovi poveri”), averlo fatto ora è stato un errore di “timing” vistoso quanto inevitabile, vistoso in quanto ora anche l’Fmi ammette di aver sbagliato, inevitabile perché l’unico paese che può dettare l’agenda in Europa su temi economici e fiscali è la Germania e in Germania semplicemente non potete andare a dire che c’è bisogno di prestar soldi agli “scialacquatori del Sud” senza essere mandati a casa, anche se vi chiamate Angela Merkel. Tutto il resto serve solo, per dirla come dicono i miei ex colleghi gestori, a tirar calci al barattolo, ossia a prendere tempo.

Prendere tempo è un’arte che Mario Draghi conosce quanto o meglio di altri (con l’eccezione del banchiere centrale americano Ben Bernanke, forse), anche se il premier giapponese Shinzo Abe spera di riuscire ad imparare rapidamente dai propri errori ed emulare l’illustre riferimento. Sarebbe meglio per tutti che ci riuscisse, visto che la ricetta di Abe è una delle poche alternative sensate in un mondo che vede l’attività economica rallentare ovunque e i prezzi tendenzialmente calare altrettanto ovunque (con qualche brivido ogni tanto in pochi paesi emergenti e molti timori, puntualmente delusi, da parte degli economisti più rigidamente monetaristi in Europa e negli Stati Uniti). Prezzi in calo non sono di per sé una cosa cattiva, ma occorre come nel caso opposto (di prezzi in crescita) stare attenti a non esagerare, o rischiate che, per esempio, una casa che oggi vale 300 mila euro domani ne valga 250 mila e il relativo affitto passi, da 900 a 800 euro, per dire. Il che vi potrebbe piacere se la casa non è vostra, molto meno se da quegli affitti dipendete per arrivare a fine mese in un paese privo di prospettive economiche men che deprimenti.

Siccome però non amo raccontar favole (se non la sera a mio figlio) debbo anche dirvi perché il mercato teme che la strategia di Draghi alla lunga non servirà a nulla e Abe non riuscirà a realizzare il suo “libro dei sogni” che prevede una crescita del Pil giapponese del 40% nel prossimo decennio. Perché nell’uno come nell’altro caso potrebbero non esservi risorse a sufficienza, mentre la demografia rema contro facendo invecchiare prima e diminuire poi la popolazione delle due aree economiche (e con questo i consumi, che in entrambi i casi rappresentano oltre i due terzi del Pil). Lo spettro della decrescita infelice è su di noi, per evitarlo non potendo sperare più che tanto in una improvvisa riaccelerazione delle economie ci si potrebbe (ed io credo dovrebbe) dedicare ad una riallocazione delle risorse. Il che richiederebbe una diversa ripartizione di onori ed oneri e un taglio del debito privato e pubblico non solo tramite deleveraging e austerity ma anche tramite meccanismi di stralcio del debito stesso.

Del resto che senso ha che la ricchezza, in termini sia di reddito sia di patrimonio, continui a concentrarsi in sempre meno “fortunatissime” mani a fronte di un generale depauperamento di vaste fasce della popolazione? Che senso ha che le banche restino il canale predominante se non l’unico per distribuire il credito se poi il credito non lo distribuiscono? Che senso ha fare battaglia a difesa degli assetti proprietari di aziende che producono solo perdite crescenti da coprire, prima o poi, con aiuti pubblici? Il tutto tenendo peraltro presente che i paesi e le popolazioni più indebitate ormai sono quelle del ricco Occidente, cresciuto per decenni a debito dopo secoli di sfruttamento coloniale delle risorse di paesi un tempo emergenti e ora sempre più emersi come Cina, Brasile, Russia, India o Sud Africa. Sarebbe tempo di pensare a dare una risposta a queste domande e trovare una ricetta il più possibile equa e sostenibile (in termini sia sociali sia economici) per tutti, che non finisca col deprimere gli “animal spirit” che muovono l’economia mondiale ma che non si limiti a inseguire né il sogno “tedesco” del rigore a tutti i costi né quello “giapponese” di una grande ripresa che rischia di non arrivare mai. Altrimenti è solo questione di tempo prima che scoppi una nuova e forse definitiva crisi economico-finanziaria mondiale.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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