Marco, un napoletano in Siria per combattere l’Isis: “Ridevamo sotto le bombe”
“Quello stesso giorno siamo stati attaccati da Daesh con mitragliatrici, bombe a mano e palle esplosive. Eravamo allo scoperto fino a che uno di Daesh non ci è piombato addosso dal nulla e siamo rimasti immobilizzati sotto il fuoco nemico. Per qualche motivo stavamo tutti ridendo mentre le bombe colpivano i palazzi intorno a noi. Poi, mentre ci arrivavano addosso le bombe, ci dicevamo "mi mancherai quando la prossima atterrerà proprio su di te"… Questo è umorismo da prima linea”. Queste parole accompagnano un filmato di guerra postato sul profilo Facebook di Marco L.C..
Ma chi è Marco?
Ventitrè anni, napoletano, è un foreign fighter italiano: è stato per mesi in Siria a combattere contro i daesh, i miliziani dell'Isis, perdendo un occhio in battaglia. Il filmato è stato girato proprio lì, a Al Hasakah, cittadina siariana al confine con la Turchia dove si sono combattute furiose battaglie. Ebbene, al fronte, c'era anche il nostro connazionale.
Torniamo al filmato. Il giovane soldato è insieme a un altro miliziano, Robert Rose, americano di New York. Si muovono con circospezione sul tetto di una casa semidistrutta e poi in quella che un tempo, prima della guerra, doveva essere l'aia. Quindi, l'americano, mostrando il caricatore di un mitra ormai senza proiettili, tira un sospiro di sollievo e dice: “Non ci sono più munizioni”.
Ora Marco L.C. vive in Germania, accanto alla sua fidanzata curda, Dunia. Si è trasferito lì solo da qualche settimana, dopo una breve visita a Napoli, dai parenti, ma per mesi è rimasto in Siria, soldato del Ypg, a combattere. Guardando la grande quantità di foto che lo ritraggono e i commenti degli altri commilitoni, si intuisce che, nel corso dei mesi trascorsi in forze al Ypg, Marco L. C. ha svolto mansioni sempre più pericolose. In un'unità composta da foreign fighters, ha combattutto anche al fronte.
Abbiamo provato più volte a a intervistarlo, ma non ha voluto. Ci ha permesso, però, di entrare nel suo mondo accettando la nostra amicizia su Facebook.
Una trasformazione improvvisa
Fino alla primavera del 2015 era un ragazzo qualunque con una ex moglie, una figlia appena nata, un lavoretto, la passione per le armi, le immersioni, la palestra e i lanci in paracadute. Fino ad aprile 2015 giocava al biliardino sulla costiera amalfitana. Era tifoso di Valentino e si fotografava in sella alla sua moto o con in braccio la sua bimba, a cui scriveva. “Il tuo sorriso è l'unico che mi blocca il cuore, ti proteggerò da qualsiasi male e da qualsiasi persona che si metterà tra me e te……….sei la mia vita!!”. Poi, d'improvviso, lo ritroviamo con indosso una tuta militare, che imbraccia un vecchio kalashnikov. Sullo sfondo c'è un deserto roccioso. Si protegge il viso con un foulard.
Marco L. C. ha lasciato la sua vita e la tranquilla Italia per andare a combattere a fianco del popolo curdo contro i daesh. Che cosa lo ha spinto? Sono i suoi “bro”, i suoi brothers, i suoi fratelli di battaglia, a raccontarlo con i loro commenti sotto le fotografie dal fronte che il giovane ha postato o che hanno caricato sui social network i suoi commilitoni. Ed è sua sorella, quella vera, da Napoli, a dirlo.
La sorella: "Onore a lui"
E' una ragazzina, ma tra un post scanzonato e l'altro, rende onore al fratello “crociato”. Ha scritto nel novembre 2015, poche ore dopo l'attentato che ha sconvolto Parigi: “Onore a mio fratello. Onore a tutti quelli che ogni giorno stanno combattendo. Onore a tutti quelli che hanno avuto gli attributi, che li hanno e stanno affrontando questa cosa… la guerra. Che non penso avrà presto una fine. Onore a lui che lo fa per passione. #mioamore #marco #brother”. Ecco cosa ha spinto Marco L.C. a partire per la Siria: la passione, la necessità di combattere una guerra, quella contro i terroristi islamici, la cui importanza l'intero occidente, a suo parere, stava sottovalutando. Quand'è partito ancora non c'erano stati gli attentati di Parigi e Bruxelles e davvero "i daesh" (li chiamano così) sembravano, almeno per tanti europei, nemici lontani. Dice di lui un altro foreign fighter: “Cosa ci unisce? Odia i terroristi quanto me. E' molto semplice ciò che ci unisce. Stiamo combattendo per voi, per i nostri figli, per difendere i nostri valori”.
Per gli amici napoletani, Marco è un eroe
Dai suoi amici napoletani Marco è considerato un eroe. All'inizio della sua avventura gli inviavano messaggi di incoraggiamento: “Amico mio io ti prego…distruggili. Spazza via quanti più fottuti bastardi dell'Isis puoi! Nessuna pietà!” . In realtà, con il passare dei mesi, l'incoraggiamento degli amici e dei parenti italiani è venuto un po' a mancare, ma è cresciuto quello degli altri foreign fighter e dei nuovi amici curdi. Marco è restato a combattere in Siria per mesi interi, mentre tanti commilitoni, invece, sono ritornati in patria.“Cerca di restare vivo”, "Sei nelle mie preghiere”, gli scrivevano da ogni parte del mondo, mentre lui postava foto di battaglie e di tombe improvvisate, dove, si intuisce, doveva aver appena seppellito un amico morto in battaglia. Vivo, Marco L.C., è rimasto, a differenza dei suoi compagni americani Levi Shirley, William Savage and Jordan MacTaggart, ma non sano. Ha perso un occhio al fronte, ed è rimasto anche ferito alle mani.
Per questo forse ha deciso di lasciare la Siria e di crearsi una nuova vita in Germania a fianco della sua Dunia. Un'impresa che non deve essere certo facile perché, come scrive l'inglese Joe, amico di Marco L.C. e ancora in Siria a combattere: “Noi lasciamo la guerra, ma la guerra non lascia noi, con i suoi incubi e i suoi morti che ci tormentano le notte”. Non sappiamo come stia andando la sua nuova avventura tedesca, ma sappiamo che la sua battaglia per la libertà del popolo curdo e contro Daesh continua. Non in prima linea, non più con un fucile in mano, ma propagandando idee e messaggi. Spesso scrive ai suoi ex commilitoni: “Spero di rivedervi un giorno libero in una Rojava federale in pace e prosperità”.