Maledetta austerity e maledetti coloro che, politici europei in testa, non vogliono capire che di austerity si muore, non si può vivere. A livello macroeconomico e politico è sotto gli occhi di tutti l’evidente e conclamato fallimento della politica dell’egemone europeo, con Angela Merkel che continua a spostare in là la data di un’intesa sull’ennesima ristrutturazione/riscadenziamento del debito greco e parallela concessione di una nuova robusta tranche di aiuti internazionali, che in realtà non potrà essere concessa dall’Fmi sino a quando si continuerà a fare finta che il debito greco sia sostenibile e quindi Atene non sia fallita, come in realtà è da ormai quasi un anno, per la semplice ragione che per statuto l’Fmi non può erogare nuovi prestiti a paesi il cui debito non sia sostenibile (e quello greco non lo è).
Continuare a “comprare tempo” come ha fatto (egregiamente) Mario Draghi con la Bce non servirà assolutamente a nulla, se non (come prova a fare la Merkel) ad arrivare alle elezioni politiche tedesche (a settembre del prossimo anno, molto dopo quelle statunitensi, appena svoltesi, quelle giapponesi, che si terranno già in dicembre, e quelle italiane, previste tra marzo e aprile prossimo) cercando di non far capire agli elettori tedeschi di chi è la colpa di questa crisi: di una coalizione politica i cui vertici (Merkel in testa) non hanno mai voluto capire che le riforme, sacrosante, vanno imposte in fasi espansive non in piena recessione; che saldare alla crisi economico-finanziaria 2008-2009 la pretesa di rendere improvvisamente e immediatamente “virtuosi” i conti pubblici greci avrebbe condannato il paese al baratro in cui è caduto.
Ma anche che continuare a impedire ogni più sostanzioso intervento preventivo della Bce a sostegno di paesi pericolanti come Spagna e Italia (che giustamente, sia pure in modo tardivo, stanno iniziando a opporsi a ulteriori misure “moralizzatrici” suggerite da Berlino) vuol dire innescare le prossime bombe con le proprie mani; che sostenere che l’unica soluzione sia germanizzare l’intera Unione europea vuol dire non aver mai capito nulla di chi siano e cosa vogliano gli europei e di non avere neppure troppo a cuore il futuro dell’unione, che potrebbe e dovrebbe evolvere verso un sistema federale di “stati uniti d’Europa” come alcuni suggeriscono anziché cercare di creare 26 cloni della Germania (che finirebbero con l’entrare in rotta di collisione l’uno con l’altro).
Maledetta austerity, perché nel frattempo per cercare di essere tutti “virtuosi” e dimostrare di avercelo più duro (il rigore) dei tedeschi anche in Italia è, mese dopo mese, un susseguirsi di pagamenti di imposte e voci di nuove manovre, poi smentite, poi nuovamente d’attualità, poi ulteriormente rettificate. Un tira e molla che anziché riportare la fiducia rischia di demoralizzare anche la parte più sana del paese, quei milioni di lavoratori dipendenti, agenti, liberi professionisti, piccoli e grandi imprenditori che ogni mattina provano a produrre ricchezza, vedendo nella stragrande maggioranza dei casi crescere o rimanere costanti i costi, mentre flettono i ricavi e si allungano i tempi di pagamento, con uno stato pronto a spremere anche le rape pur di cavarne un minimo di linfa per i propri conti a spese dei suoi stessi contribuenti (e senza riuscire seriamente ad aggredire un’evasione che si stima intorno ai 280-200 miliardi di euro l’anno). Per inciso secondo gli ultimi calcoli di Price Waterhouse Coopers le Pmi italiane subiscono un prelievo fiscale complessivo a livelli astronomici: il 68,3%, un dato persino peggiore a quello medio complessivo che Confcommercio ha indicato essere pari al 55%.
Nell’un caso come nell’altro siamo ormai a livelli “marziani” e tali per cui per ogni impresa che chiude i battenti a perderci maggiormente è il “socio occulto” rappresentato dal fisco, non l’imprenditore stesso. Ci si chiede come possa allora l’economia italiana sperare di ripartire. Da un lato economisti come Mario Seminerio vanno ripetendo che la risposta a una crisi sistemica non può che essere sistemica e quindi deve coinvolgere tutti i paesi dell’Unione europea, arrivando a creare dei meccanismi che trasferiscano (sia pure sotto rigorosi controlli) l’eccesso di capitali che piovono sui paesi del Nord Europa verso i paesi carenti di capitali del Sud Europa come l’Italia stessa, così da almeno bilanciare l’ulteriore effetto negativo legato al deleveraging in corso nel sistema bancario italiano ed europeo (che secondo Morgan Stanley ha già prodotto primi importanti effetti ma è ben lungi dall’essere completato e nel caso italiano e spagnolo rischia di portare a un 2013 ancora più duro, se possibile, del 2012 sotto il profilo dell’erogazione di nuovo credito a imprese e famiglie).
D’altro canto non possono non segnalarvi come, per fortuna, a livello microeconomico siano ancora centinaia, anzi migliaia, le buone idee, le energie e passioni imprenditoriali che spingono i nostri ragazzi a partecipare in massa a percorsi come quello promosso da Vertis Sgr e dall'accelleratore SeedLab che consentono da un lato una selezione delle migliori idee in cerca di capitali, dall’altra una migliore strutturazione delle stesse e una prima serie di contatti con potenziali investitori. Ne ho avuto conferma ieri partecipando alla presentazione di nove idee imprenditoriali nel corso della presentazione napoletana di SeedLab: nove giovani (e meno giovani, per fortuna) aspiranti imprenditori che nel complesso cercano circa 4-5 milioni di euro di finanziamenti e, conti alla mano, sono convinti di poter arrivare a fatturare da qualche milione a una ventina e più di milioni l’anno nell’arco di massimo 4-5 anni. Con punti di pareggio solitamente nel corso del terzo anno dall’avvio della propria impresa e margini elevati nell’arco di 4-5 anni.
Naturalmente non tutte queste idee vedranno mai la luce, ma se ci riuscissero da qui a 5 anni (se i calcoli si rivelassero corretti) il paese potrebbe arricchirsi di un centinaio di euro l’anno di fatturato, di alcune decine di posti di lavoro, di nuovo know-how che potrebbe mettere in moto meccanismi di ulteriore diffusione dell’innovazione. Un circuito virtuoso che è importante trovi modo di attivarsi sempre più frequentemente e per importi sempre maggiori. Le premesse ci sono, la necessità e l’urgenza pure, forse accanto al “rigore” di bilancio e al tentativo di coinvolgere capitali stranieri, anche puntare sui nostri giovani (e meno giovani) imprenditori potrebbe far ripartire questo paese. Io ne sono convinto e per questo seguirò con sempre maggiore attenzione questo genere di progetti.