“Make America hate again”: Trump è già più che una minaccia per le minoranze
Durante tutti questi mesi di campagna elettorale si è parlato molto delle uscite decisamente razziste o sessiste di Donald Trump, nonché delle sue proposte a dir poco discriminatorie nei confronti delle minoranze. Ad esempio, il candidato repubblicano ha annunciato di voler costruire "un grande, grande muro al confine meridionale degli Stati Uniti" – una barriera che avrebbe pagato il Messico, che manda negli Usa "persone piene di problemi", che "portano droghe. Portano crimine. Sono stupratori"; e ha invocato una "chiusura totale e completa" delle frontiere americane per le persone di fede musulmana – una proposta successivamente mitigata con la creazione di un database per schedare quelle presenti negli Stati Uniti e la sospensione dell'immigrazione da paesi a rischio terrorismo
Una volta ufficializzata la vittoria, diverse organizzazioni per i diritti umani hanno auspicato che la "retorica sensazionalistica dell’odio" sentita in campagna elettorale venga abbandonata e che Trump governi "con rispetto per tutti coloro che vivono negli Stati Uniti". Margaret Huang, direttrice generale di Amnesty International Usa, ha detto che nella corsa alla Casa Bianca si è ascoltata "una preoccupante e a volte velenosa retorica da parte del presidente Trump e di altri: una retorica che non può e non deve diventare politica di governo. Le parole xenofobe, sessiste e di odio di Trump non devono trovare posto nel governo". Anche secondo Kenneth Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch, il candidato repubblicano "si è aperto la strada per la Casa Bianca attraverso una campagna caratterizzata da misoginia, razzismo e xenofobia, ma questo percorso non può condurre a un buon governo".
In queste ultime ore circolano diverse opinioni che tendono a ridimensionare la preoccupazione per la presidenza Trump, che sì, insomma potrebbe non essere così male, magari erano solo eccessi da campagna elettorale, non è la fine del mondo. No, non lo è, ed è possibile che le politiche che effettivamente verranno messe in campo siano meno spaventose delle dichiarazioni che le hanno precedute. In effetti all'indomani della vittoria, ogni riferimento a segregazioni, blocco dell'immigrazione islamica verso gli Usa e all'espulsione dei musulmani sembra essere sparito dal sito di Trump – il che ovviamente di per sé non significa nulla.
Il problema è un altro: discriminazione delle minoranze, razzismo – neanche troppo – strisciante, sessismo e quant'altro fanno parte integrante di quel "make America great again" che ha portato Trump alla vittoria. Sono idee un tempo sconvenienti per il discorso politico, adesso sdoganate nel mainstream, entrate a pieno titolo nella proposta di un candidato – poi vincente – alle elezioni presidenziali americane. Chi oggi dice che non c'è da preoccuparsi e bolla le paure come pura paranoia punta sul fatto che Trump non credeva realmente a ciò che diceva. È un'argomentazione che manca il punto. Al di là della messa o meno in pratica di quelle proposte, la vittoria di Trump dice una cosa molto chiara alle persone (genericamente) di colore: non sono le benvenute in America. Ed è qualcosa che già sta accadendo, senza dover attendere provvedimenti eclatanti.
Quattro mesi fa, durante una partita di basket in un liceo dell'Indiana, un gruppo di studenti ha iniziato a inneggiare a Trump, intonando il coro "Build that wall" verso la squadra avversaria, composta da ispanici. I primi di novembre, invece, in Mississippi una chiesa frequentata da una comunità afroamericana è stata data alle fiamme, e su uno dei muri è stata lasciata la scritta "Vota Trump". Stando a un report del Consiglio per le relazioni americano-islamiche, nello scorso anno gli attacchi alle moschee si sono quasi quadruplicati rispetto ai due anni precedenti. Alcune indagini nelle scuole americane, infine, hanno rilevato che molti studenti – soprattutto immigrati, figli di immigrati e musulmani – si sono detti preoccupati di ciò che potrebbe accadere a loro o alle loro famiglie dopo le elezioni. Ci sono dei post su Medium che stanno raccogliendo gli "hate crimes" nell'America di Trump, dal giorno dell'elezione in poi: un elenco in continuo aggiornamento.
Come spiega questo articolo, ovviamente, questo non è stato il primo momento in cui c'è stata una maggiore incidenza di casi di razzismo, ma quello che colpisce è "la somiglianza tra quello che le minoranze stanno vivendo nelle loro comunità e le cose che Trump dice ai suoi comizi". Nonostante si tratti di fenomeni che si sarebbero potuti verificare ugualmente in conseguenza, ad esempio, del terrorismo, "non abbiamo bisogno di studi di sapere che Trump ha fomentato queste lamentele, e continua a sfruttarle per fini politici".
Le minoranze, i diretti interessati dalle uscite di Trump si sono resi conto perfettamente di cosa stava accadendo e c'è una parte d'America spaventata, colpita da una paura che è perfettamente razionale. Per Lauren Carasik, direttrice dell'International Human Rights Clinic alla Western New England University School of Law, il neo presidente governerà "una nazione aspramente divisa, che ha completamente perso di vista i suoi ideali fondanti, esacerbato i suoi problemi esistenti e messo in pericolo la sua stessa democrazia".
Secondo un articolo pubblicato su Vox, la parola che meglio definisce la campagna di Trump per la presidenza è "emboldened": i sostenitori della "white supremacist" sono rinvigoriti, le persone si sentono meno costrette dal "politicamente corretto" quando parlano, agiscono, anche se si confrontano con estranei. La messa o meno in pratica delle proposte lanciate dal candidato repubblicano in campagna elettorale perde di significato. Trump farà davvero il muro? Schederà tutti i musulmani d'America? Sì, no, forse. Il punto è che sono cose che adesso si possono dire ad alta voce, senza alcun timore. In un reportage del New York Times, vengono riportate le parole di un sostenitore del candidato repubblicano a un comizio in Virginia: "Questo è il nostro paese ora, basta gringos! (…) Trump dice quello che tutti pensano. Dice quello che tutti pensiamo. (…) E alla fine diciamo: ‘Ehi, è vero, possiamo dirlo".