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Ma la desistenza non serve a nessuno (soprattutto al Paese)

Ma è proprio vero che la presenza della coalizione guidata da Antonio Ingroia rischia di costare la maggioranza nelle due Camere alla coalizione guidata da Pier Luigi Bersani? E che senso avrebbe un accordo di questo tipo?
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Ingroia-PD-desistenza

Nella confusione organizzata di queste ultime settimane è tornato prepotentemente alla ribalta un concetto: quello della "desistenza". Uno spauracchio, per alcuni. Una prospettiva politica auspicabile, per altri. Ma soprattutto, dopo le dichiarazioni del Sindaco di Palermo Leoluca Orlando, un motivo di attrito fra esponenti della due coalizioni: quella guidata da Bersani e quella che si affida all'ex pm Antonio Ingroia. In breve il ragionamento (più o meno esplicitato) è il seguente: il centrosinistra raggiungerà agevolmente la maggioranza dei seggi alla Camera, mentre al Senato, con il premio attribuito su base regionale, il risultato è ancora in bilico; di conseguenza, per evitare un sostanziale pareggio, potrebbe essere opportuno che gli arancioni non presentino liste in alcune Regioni (Sicilia, Lombardia e Campania su tutte) e convergano sulle liste di Italia Bene Comune. Da queste considerazioni poi, un profluvio di citazioni e riferimenti storici, dalla vittoria di Cota alle Regionali in Piemonte alla sconfitta di Al Gore (a "causa" della candidatura di Ralph Nader), fino a chiamare in causa la linea Chomsky ed il vecchio "votare turandosi il naso". Un dibattito nel quale sono intervenuti (oltre ad Orlando e Franceschini) lo stesso Ingroia ("Troppo tardi, proposta irricevibile. Il nostro è voto utile"), Luigi de Magistris ("Desistenza? Noi siamo per la resistenza. Se il PD fosse interessato ad un rapporto con Rivoluzione civile, si sarebbe mosso prima") ed altri esponenti del Pd, come Civati, che pure parte da un'altra prospettiva come ha raccontato ai nostri microfoni ("Perché non pensare a un gesto distensivo e politicamente responsabile, collegando la sfida del Senato a quella delle Regionali?").

Ma quanto inciderebbe una eventuale "desistenza" sul risultato complessivo delle politiche 2013? Senza troppi giri di parole, la sfida è tutta in Lombardia, Veneto, Campania e Sicilia. In ballo i seggi necessari ad ottenere la maggioranza in Senato (dal momento che gli ultimi sondaggi elettorali mostrano che non dovrebbero esserci difficoltà per il centrosinistra alla Camera). Una partita complessa, che si gioca sul filo dei voti, anche se con qualche distinguo da fare. Perché se in Veneto la coalizione di Bersani sembra comunque davanti, in Campania il vantaggio su un centrodestra che sta raschiando il fondo del barile (e non sono escluse sorprese dell'ultima ora) resta minimo e Rivoluzione Civile è data ben oltre il 10%; in Lombardia invece il duello è sul filo di lana e si deciderà probabilmente anche in relazione al risultato delle elezioni regionali (e tra l'altro con una "convergenza su nomi e programmi" fra le due coalizioni); in Sicilia invece il centrodestra sembrerebbe ancora in vantaggio. Tirando le somme, almeno teoricamente e, limitandoci ad un puro e semplice calcolo matematico, la desistenza consentirebbe al centrosinistra un'agevole vittoria in tutte le Regioni e dunque la conquista del premio di maggioranza.

Ma limitarsi al calcolo numerico è sempre un errore in politica. Per una serie di ragioni. In primo luogo perché l'oscillazione del consenso elettorale è ancora ampia, con un 30% di indecisi che potrebbe contribuire a cambiare radicalmente il quadro. Ma soprattutto perché la proprietà additiva non si addice ai calcoli elettorali, men che mai a sinistra. L'idea di poter travasare voti da una coalizione all'altra è pura illusione, al pari del pensiero che vuole totalmente annullato l'effetto polarizzazione del consenso (calmierato, in parte…forse). Insomma, nulla vieta di pensare che la pretesa di manovrare consensi elettorali come se si trattasse di voti parlamentari sia in larga misura inconsistente. E, tutto considerato, è questo uno dei motivi per cui ai piani alti del Nazareno l'idea viene tenuta in così poca considerazione: si tratterebbe di un compromesso al ribasso, che sposterebbe definitivamente l'asse della coalizione, in cambio di "voti" che potrebbero essere non necessari (o non sufficienti nel caso si concretizzasse la temuta rimonta di Silvio) e probabilmente anche recuperabili. Del resto, la desistenza sarebbe anche la pietra tombale sulla Rivoluzione Civile di Ingroia, chiamato a chiedere ai suoi "non ancora" elettori di digerire il primo boccone amaro in nome della logica del meno peggio. Insomma, una pessima idea. Per tutti. E che mortificherebbe anche il dibattito sui programmi, grande assente in questa campagna elettorale.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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