Il "che ne sarà di noi?" dei berlusconiani ha diverse voci e la stessa amara constatazione: è una sconfitta nettissima, con pochi precedenti e mai così preoccupante, perché avviene in un momento di "teorica" risalita delle quotazioni del centrodestra su base nazionale. "Abbiamo perso, è un dato sotto gli occhi di tutti perché non siamo in grado di avere una classe dirigente convincente", sentenzia Daniela Santanché. "Viviamo in una condizione schizofrenica", fa sapere Cicchitto. "Bisogna ricostruire un partito con volti nuovi", ripete Scajola, al centro delle polemiche per la batosta subita nella sua Imperia. Ma l'analisi è monocorde anche per quel che riguarda la figura di Silvio Berlusconi, l'uomo solissimo al comando. "Il Popolo della Libertà deve tenersi stretto il grande carisma di Berlusconi", avvisa Lupi; "noi siamo viziati perché i voti per noi li prende Berlusconi", ammette la Santanché; "senza Berlusconi e il suo impegno in prima persona siamo più deboli e non si vince", arguisce la Gelmini; "torniamo a Forza Italia torniamo alle nostre radici e a Silvio Berlusconi", chiude definitivamente Mantovani.
Come un mantra, il nome di Silvio Berlusconi affolla dichiarazioni e commenti, quasi bastasse pronunciarlo per esorcizzare lo spettro del fallimento di un'intera classe dirigente. Certo, il Cavaliere è riuscito nel miracolo di riportare il centrodestra al Governo del Paese, nella fase peggiore della sua storia e quando tutti i sondaggi lo davano ai minimi storici. Un miracolo, gioverebbe ricordarlo, materializzatosi grazie alla gentile collaborazione prima del "supertecnico" Mario Monti, poi della brigata capitanata da Pier Luigi Bersani. Ma sostanzialmente un gioco di prestigio, l'ennesima illusione. Perché basato sulla perdita secca di 6 milioni di voti e sulla frattura forse definitiva con una larga fetta del suo elettorato. Frattura comune anche al centrosinistra, sia chiaro. Ma Pd e Sel hanno dalla loro una struttura territoriale da sempre più organizzata ed in grado di rispondere con maggiore dinamismo alle sollecitazioni "nazionali". E hanno una classe dirigente in grado anche di fare a meno del livello nazionale. Anzi, in alcuni casi di "vincere nonostante" le scelte dei rappresentanti su base nazionale.
Il Popolo della Libertà è invece un partito nato su altri presupposti e strutturatosi in maniera radicalmente diversa. Tanto che in pochi mostrano di rendersi conto del circolo vizioso venutosi a creare anche in questa consultazione. In sostanza, la struttura del partito personale ha indebolito i livelli territoriali e impedito la nascita di una classe dirigente all'altezza. Da qui i deludenti riscontri in occasione delle consultazioni in cui la "presenza territoriale ed il valore delle candidature" costituiscono un valore aggiunto (in assenza di "contingenze", come la contemporaneità con politiche – europee, o di un trend nazionale estremamente forte). E da questi dati, paradossalmente, la spinta verso una ulteriore accentuazione del carattere verticistico del Pdl, con il richiamo al Cavaliere "dal carisma insostituibile". E il richiamo ad una formazione, Forza Italia appunto, che saltava quasi completamente il livello territoriale.
Una risposta debole dunque, anche considerando l'esiguità dei margini di manovra ed il vero e proprio accerchiamento del Pdl: impossibilitato a staccare la spina al Governo delle larghe intese (per una serie di fattori ampiamente discussi), costretto ad assistere alle fasi finali del complesso e preoccupante cammino giudiziario di Berlusconi e accerchiato sul territorio dalle armate del centrosinistra più disastrato della storia recente. Basterà anche stavolta un gioco di prestigio del Mago di Arcore?