Per un attimo ho provato ad immaginare Giorgio Napolitano parlare di social network. Non ci sono riuscito. Allora ho pensato a Sergio Mattarella, nuovo Presidente della Repubblica: l’ho figurato mentre esplora Netflix per vedere l’ultima puntata di House of Cards. Ho dovuto prima cercare Mattarella su Google, però, perché non avevo idea di chi fosse. E Giuliano Amato? Potrebbe mai – mi sono chiesto – taggare Taylor Swift su twitter e farsi retwittare dalla cantante più famosa del momento?
Da giorni non vediamo che pagine e servizi tv interminabili su chi sarà il nuovo Presidente della Repubblica. Ieri mattina al bar ho sfogliato due quotidiani: il primo (più giovanile) aveva le prime otto pagine ad occuparsi della questione, il secondo (più istituzionale) ben dodici. Ho letto retroscena – la maggior parte si sono poi verificati falsi – tutte le dichiarazioni di Rosy Bindi, Alfano, Veltroni, i grillini usciti dal M5S, le biografie dei candidati, le alleanze, i patti segreti.
In tutto questo, improvviso, un pensiero mi ha attraversato la mente: chi se ne frega. Perché diavolo a noi giovani dovrebbe importare qualcosa del Quirinale? In che maniera questa decisione cambierà le nostre vite, in che maniera questi prossimi sette anni di mandato saranno diversi con un nuovo over 60 alla presidenza della repubblica? Non c’è da scherzare. La questione è seria e la mia provocazione vuole essere un modo per mettere l’accento sugli spettatori, finora ignorati, di queste vicende. Quelli che usano Twitter, gli smartphone, hanno lauree e esperienze all’estero. Quelli per cui è quasi impossibile trovare un lavoro, accedere a un mutuo, sposarsi, fare dei figli.
Ecco, a loro di queste elezioni non importa nulla. E il problema non è nelle tecnologie, nei social media, o nel web. Il problema non è neanche generazionale (non solo). È un problema culturale: c’è una fetta consistente di popolazione a cui di queste elezioni, che occupano ogni spazio presente sui media, non interessa assolutamente nulla. Quella fetta di popolazione giovane che dovrebbe essere al centro di ogni processo politico ed istituzionale, perché inizia ora a costruire le proprie vite, e con esse il paese del futuro.
Noi apparteniamo a un mondo nuovo – di cui le tecnologie sono solo una componente – che non capisce quello vecchio. E vecchissimo è il modo di fare politica visto in questi giorni: le trattative sottobanco, le strategie fra gli schieramenti politici, l’opacità e il segreto ovunque. Sembra di stare a guardare uno sceneggiato Rai sugli anni di piombo. Hanno perfino tirato in ballo ancora una volta la Dc.
E pensare che solo una settimana fa le elezioni in Grecia, quelle che “cambieranno la storia” come ha detto il nuovo premier Alexis Tsipras, hanno spalancato una porta buttando giù i cardini. “Le elezioni in Grecia mostrano cosa succede quando i giovani si rivoltano”, ha scritto Paul Mason sul Guardian. Già, perché Syriza e il suo leader Alexis Tsipras hanno vinto proprio impegnandosi direttamente nel sogno di una generazione che vuole riprendersi le opportunità perdute. Ma processi simili stanno accadendo anche in Spagna col movimento Podemos, nato dalle manifestazioni degli “indignados” del 2011. Parlando di elezioni, poi, tra pochi mesi ci saranno le politiche in Gran Bretagna. Sapete su cosa si giocheranno? Sul voto degli immigrati (principalmente indiani, pakistani, giamaicani), ben 4 milioni di persone finora escluse dai processi democratici che finalmente avranno il potere di cambiare il volto del proprio paese.
Noi, al massimo abbiamo Magalli. Quello che voglio dire è che esiste una incredibile necessità di riportare la politica vicino ai bisogni dei giovani in questo paese. Nei giorni scorsi a un giornalista che cercava spiegazioni del voto in rete a Giancarlo Magalli come candidato al Quirinale, un utente su Facebook ha risposto: “Non avete capito che vi stiamo prendendo in giro?”. È la risposta, cinica, di chi sa di non avere alcun potere sul processo decisionale e se ne prende gioco.
Ma è vero: il capo dello Stato non è un soggetto politico tout court, e queste non sono elezioni politiche. Si dirà: “I temi sociali, e dei giovani sono stati stati oggetto delle scorse elezioni”. Ma non è questo il punto. All’origine della totale indifferenza dei giovani sono proprio i processi istituzionali alla base della nostra democrazia – di cui in questi giorni si decide il garante. E questo è un problema politico. Non è un caso che il recente sondaggio del programma di Raitre Agorà (realizzato da Ixè) abbia indicato che ben il 72% degli italiani preferirebbe votare direttamente il capo dello Stato.
È anche un problema di trasparenza. Le vicende di questi giorni sono percepite come del tutto estranee alla vita di tutti i giorni. A leggere le paginate intere dedicate alla questione dai nostri giornali è difficile capire i fatti se non si è un addetto ai lavori (politico o giornalista). E alla fine, cosa rimane? Che queste decisioni non ci riguardano, che avviene tutto in segreto, che volente o nolente non possiamo farci nulla, e allora perché interessarsi?
“Ora ci ascoltano tutti. E non riguarda solo la Grecia, riguarda l'Europa e specialmente i giovani”, ha detto una giovane elettrice sotto il palco di Syriza il giorno delle elezioni in Grecia. Quanta speranza in queste parole. In Italia, invece, una settimana dopo rimane tutta l’indifferenza per un’elezione a porte chiuse di cui non capiamo più il motivo.
Mi chiedo: ma non è questa una sconfitta per Matteo Renzi, che ha solo 40 anni e parlava di giovani e di rottamazione? Non è questa una sconfitta dei media, che raccontano queste elezioni più a loro stessi che ai propri lettori? Non è questo, infine, un rischio per la nostra democrazia, una volta che il disinteresse diventa disaffezione al voto? Come dimostra la grande astensione alle recenti elezioni europee, e alle regionali in Emilia Romagna e Calabria? Forse è così. Ma a noi giovani che ci importa.
(Immagine di @ttan_)