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M5s-Lega vogliono chiusura moschee e prediche in italiano. Comunità islamica: “Impensabile”

Il contratto di governo stipulato da M5s e Lega comprende anche un paragrafo sulla libertà di culto e l’islam. L’idea è quella di chiudere le moschee irregolari, istituire un registro dei ministri di culto, rendere i sermoni obbligatoriamente in italiano e indire referendum comunali per una legge su moschee e luoghi di culto. La comunità islamica non si dice preoccupata, perché ritiene poco realizzabili questi punti, ma parla comunque di decisioni “anticostituzionali” che verrebbero eventualmente bocciate dalla Corte Costituzionale.
A cura di Stefano Rizzuti
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Fedeli in preghiera alla moschea di Roma
Fedeli in preghiera alla moschea di Roma

Istituire un registro dei ministri di culto, tenere le prediche solamente in lingua Italiana, chiudere le associazioni islamiche radicali e le moschee irregolari e ricorrere ai referendum comunali per arrivare a una nuova legge quadro sui luoghi di culto. Tutti questi punti riguardanti le minoranze religiose in Italia, e in particolare l'islam, sono inseriti nel contratto di governo tra MoVimento 5 Stelle e Lega. Alcuni, secondo una delle versioni del documento, sono ancora in fase di studio, mentre altri sembrano entrare di diritto nel programma del governo giallo-verde. E la preoccupazione nella comunità islamica è inevitabile, anche se attenuata da alcune convinzioni. Come spiega a Fanpage.it Izzedin Elzir, presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche d’Italia, le proposte di Lega e M5s difficilmente verranno messe in pratica e se mai dovesse accadere “ci sarebbe la Corte Costituzionale a intervenire”.

Le proposte nel contratto di governo

Un punto del contratto di governo – il dodicesimo – è dedicato a ‘Immigrazione: rimpatri e stop al business’. All’interno di questo capitolo si parla anche della trasparenza nei rapporti con le altre confessioni religiose, anche per la “prevenzione di eventuali inflitrazioni terroristiche, più volte denunciate a livello nazionale e internazionale”. Ciò che si ritiene indispensabile è adottare “una normativa ad hoc che preveda l’istituzione di un registro dei ministri di culto, lo svolgimento delle prediche in lingua italiana e la tracciabilità dei finanziamenti per la costruzione delle moschee e, in generale, dei luoghi di culto, anche se diversamente denominati”. Questa parte del paragrafo è però ancora in via di definizione, dovendo passare al vaglio del capo politico del M5s Luigi Di Maio e del segretario della Lega Matteo Salvini.

Alcuni di questi punti non sono una novità assoluta, peraltro. Già poco più di un anno fa il ministro dell’Interno Marco Minniti aveva sottoscritto un patto con l’islam italiano, in cui venivano riconosciuti alcuni di questi principi: il divieto agli imam fai da te, l’obbligo di tenere i sermoni del venerdì in italiano (o almeno tradurli), la formazione degli imam come preludio a un albo degli imam, la necessità di assicurare massima trasparenza nella gestione e documentazione dei finanziamenti, soprattutto per la costruzione delle moschee. Tutti elementi in comune tra il patto siglato anche dalle associazioni islamiche e il contratto di governo M5s-Lega.

Le principali novità arrivano però nel secondo paragrafo del contratto dedicato alla libertà di culto in Italia. “Occorre disporre strumenti adeguati per consentire il controllo e la chiusura immediata di tutte le associazioni islamiche radicali nonché di moschee e di luoghi di culto, comunque denominati, che risultino irregolari – si legge ancora nel documento -. A tale riguardo, onde garantire un’azione efficace e uniforme su tutto il territorio nazionale, si rende necessario adottare una specifica legge quadro sulle moschee e luoghi di culto, che preveda anche la consultazione popolare preventiva tramite referendum comunale”.

E sono proprio questi ultimi punti quelli più controversi. Da una parte la possibilità di chiudere le associazioni islamiche considerate radicali, pur non specificando cosa si possa intendere con questo termine. Dall’altra il ricorso al referendum comunale per arrivare a un’azione sul territorio nazionale “efficace” tramite l’adozione di una specifica legge quadro su moschee e luoghi di culto.

La comunità islamica: “Anticostituzionale”

Il programma del futuro governo non sembra preoccupare troppo le comunità islamiche, non perché non considerato minaccioso ma più che altro perché ritenuto irrealizzabile. Elzir spera che il contratto sia davvero stato superato da una sua versione più recente perché considera “impensabile chiudere le moschee in un paese civile”. Rimane fermo l’impegno della comunità islamica per la legalità, che va inseguita “attenendoci alla Costituzione bellissima del nostro Paese”: e per farlo, secondo il presidente dell’Ucoii, il sistema migliore è “mettere in pratica una legge” in materia.

Parla di un’idea “anticostituzionale” Elzir riferendosi al contratto di governo e sostenendo che non si possa “mettere il diritto di culto di una minoranza in mano a una maggioranza”. Il riferimento è all’ipotesi del referendum comunale proposto nel documento. Eppure Elzir è fiducioso: “Credo che la politica sia più intelligente. Non siamo più in campagna elettorale. Spero nell’intelligenza dei politici che devono distinguere la campagna elettorale dalla politica vera”.

C’è però un’ulteriore garanzia per le comunità islamiche italiane, data dalla Corte Costituzionale. Nel caso in cui si arrivi veramente a chiudere le moschee o a fare un referendum, Elzir si dice convinto che ci sarebbe un intervento della Corte, “che non accetterà una violazione dei diritti”. “Non credo che arriveremo a questo – precisa ancora senza sembrare molto preoccupato – ma se dovesse succedere ci sarebbe la Corte, che potrebbe intervenire a tutela delle minoranze come ha già fatto in passato”.

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