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Locazione commerciale e modifica del canone dopo la stipula del contratto

La Cassazione del 4.4.2017 n. 8669 ha stabilito che nelle locazioni ad uso diverso da quello abitativo ogni accordo avente ad oggetto non già l’aggiornamento del corrispettivo ex art. 32 legge n. 392 del 27.7.1978, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nullo ai sensi dell’art. 79 comma 1 legge 392/1978, in quanto diretto ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti.
A cura di Paolo Giuliano
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La quantificazione del canone della locazione commerciale

Occorre distinguere tra la quantificazione originaria del canone di locazione effettuata al momento della stipula del contratto e la modifica del canone della locazione effettuata dopo la stipula del contratto.

In genere il corrispettivo (canone) della locazione viene quantificato e pattuito al momento della stipula del contratto di locazione e resta immutato (salvo l'incremento Istat) ex art. 32 legge 392/1978 per tutta la durata del contratto.

Ci si chiede se già al momento della stipula del contratto possono essere previste delle variazioni del canone (solitamente in aumento) ad esempio euro 10 per i primi due anni, euro 20 dal terzo anno fino alla fine del contratto di locazione (c.d. canone a scaletta).

E' possibile quantificare un canone a scaletta già dal momento della stipula del contratto di locazione se tale peculiare quantificazione è sorretta da una peculiare giustificazione. In mancanza, la pattuizione è considerata nulla in quanto l'aumento del canone è previsto solo per l'adeguamento istat (art. 32 legge 392/1978) la violazione di tale norma è sanzionata con la nullità del patto ex art. 79 della legge 27 luglio 1978, n. 392.

La clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto (c.d. canone a scaletta) è legittima a condizione che l'aumento sia ancorato ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibrio del sinallagma contrattuale; ciò allo scopo di evitare che la suddetta clausola costituisca, appunto, un espediente per aggirare la norma imperativa di cui all'art. 32 della legge n. 392 del 1978 circa le modalità e la misura di aggiornamento del canone in relazione alle variazioni del potere d'acquisto della moneta

L'alternativa al canone a scaletta è quella di raggiungere lo stesso effetto mediate una riduzione del canone che passa da una rinuncia al canone.

Diversa dalla quantificazione del canone al momento della stipula del contratto è la modifica del canone dopo la stipula del contratto di locazione.

La modifica (in aumento o in riduzione) del canone della locazione commerciale

La modifica del canone della locazione commerciale (dopo la stipula del contratto di locazione), come ogni modifica al contratto è, in generale,  astrattamente possibile, ma occorre verificare se sussistono delle norme speciali che limitano questo tipo di modifica.

In modo più chiaro, si può dire che la modifica del canone come ogni altra modifica del contratto richiede due elementi: 1) il consenso di entrambe le parti contrattuali (cioè non è possibile una modifica unilaterale, imposta solo da uno dei contraenti), 2) l'inesistenza di norme che vietano tale modifica.

Fino ad ora si è usata la locuzione generica modifica, senza specificare se la modifica del canone riguarda l'aumento del canone o la riduzione del canone, in altre parole, sia l'aumento del canone sia la riduzione del canone (dopo la stipula del contratto di locazione) rientrano nell'ambito della modifica della locazione.

E' opportuno subito anticipare che la modifica in riduzione del canone di locazione richiede sempre il consenso di entrambe le parti del contatto, ma non sussistono norme che vietano tale modifica (si pensi alla riduzione del canone di locazione per un anno in presenza di una crisi del settore commerciale).

La modifica in aumento del canone di locazione commerciale dopo la stipula del contratto

Occorre verificare se la modifica in aumento del canone di locazione decisa dopo la stipula del contratto di locazione è espressamente vietata oppure, in altre parole, se la modifica in aumento del canone di locazione soggiace agli stessi limiti previsti per l'aumento del canone concordato al momento della nascita del contratto di locazione ex art. 32 e 79 della legge 27 luglio 1978, n. 392.

Di fatto si tratta anche di stabilire se possono essere messe sullo stesso piano la clausola di aumento determinata al momento della stipula e la clausola di aumento determinata stipulata durante il corso del contratto di locazione.

Non possono essere poste sullo stesso piano la clausola stipulata nel momento in cui il contratto viene concluso e quella che viene sottoscritta nel corso del rapporto, posto che la seconda non permette di escludere che il conduttore sia stato convinto a sottoscriverla sotto la pressione psicologica ed economica costituita dal rischio di perdere l'immobile locato.

Di conseguenza, si afferma che l'art. 32 della legge n. 392 del 1978 costituisce norma ostativa alla possibilità di riconoscere al locatore, nelle locazioni ad uso diverso da quello di abitazione, una variazione in aumento del canone se non nei limiti ivi ammessi dalla legge per l'istat; di conseguenza, deve ritenersi affetta da nullità ogni clausola volta ad attribuire al locatore aumenti di canone in misura maggiore.

Aggiornamento istat e aumento del canone dopo la stipula del contratto di locazione

E' un principio costante quello per il quale il canone di locazione non può, nel corso del rapporto, essere rideterminato, ma solo aggiornato nei limiti di cui all'art. 32 legge 392/1978; sicché ogni pattuizione finalizzata non all'aggiornamento bensì all'aumento del canone è da ritenere nulla per violazione dell'art. 79 legge 392/1978.

Nelle locazioni ad uso diverso da quello abitativo ogni pattuizione avente ad oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell'art. 32 della legge n. 392 del 1978, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ai sensi dell'art. 79, primo comma, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti.

Da quanto detto, si può dedurre che il diritto del conduttore a non versare un canone non dovuto (salvo l'aumento istat) non può essere rinunciato ne al momento della stipula del contratto, ne nel corso del rapporto di locazione.

Tale orientamento, trova conferma in un dato letterale presente nell'art. 79 della legge del 1978/392:  infatti, se il diritto alla ripetizione della somme pagate in violazione dei limiti e divieti di legge può essere fatto valere dal conduttore anche dopo la riconsegna dell'immobile, ne deriva che «non è sostenibile che di esso possa disporre il conduttore in corso di rapporto, accettando aumenti non dovuti», perché simile rinuncia, espressa o tacita, appare «inconciliabile» con detta facoltà di ripetizione.

Cass. civ. sez. III del 4 aprile 2017 n 8669

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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