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Locazione commerciale: canone a scalare in aumento o riduzione del canone

La Cassazione del 20.1.2017 n. 1430 ha stabilito che è valida una volontà negoziale non diretta a stabilire un aumento (a scalare) del canone originario della locazione commerciale, bensì diretta a creare una fattispecie “opposta”: che ha quantificato immediatamente il canone annuo, decurtandolo (riducendolo) parzialmente nella prima parte del rapporto di locazione in conseguenza di oggettive necessità dell’inquilino, escludendo che questo sia un modo per aggirare i divieti ex art. 32 e 79 legge 27.7.1978 n. 392.
A cura di Paolo Giuliano
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Il corrispettivo della locazione commerciale

Il contratto di locazione commerciale (come ogni contratto oneroso) prevede il versamento di un canone (corrispettivo del diritto di godere dell'immobile).

Anche se la legge del 27 luglio 1978 n. 392, da un lato, ha lasciato libere le parti di determinare il canone della locazione commerciale, dall'altro, la medesima legge ha posto dei limiti alla libera quantificazione del canone di locazione, infatti, l'art. 32 della legge 392/1978 ha stabilito che "le variazioni in aumento del canone non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati". Il successivo art. 79 legge 392/1978 stabilisce che "E' nulla ogni pattuizione diretta ad attribuire al locatore un canone maggiore"

La ratio della norma è quello di proteggere l'inquilino da ingiustificati aumenti del canone nel corso del rapporto.

L'autonomia negoziale e le esigenze economiche delle imprese

Il contesto normativo, in cui il canone del contratto una volta determinano non può subire variazioni,  (a tutela proprio dell'inquilino) si scontra con le esigenze economiche dell'inquilino, che realizza con il contratto di locazione commerciale la propria attività economica, il quale richiede canoni variabili oppure, quanto meno, aggiornabili in base all'andamento dell'attività economica.

Infatti, sono ripetute e costanti situazioni nelle quali l'inquilino richiede, all'inizio del contratto un canone più basso, onde poter ammortizzare l'inizio dell'attività economica che intraprende e/o per poter adeguare i locali alle proprie esigenze commerciali.

Il canone di locazione a scalare in aumento

E' discussa la  validità della clausola contrattuale (presente nel contratto di locazione commerciale) che prevede un canone di locazione in aumento anche se a scalare (ad esempio il canone è fissato in € 5 per i primi 3 anni  e in  € 10 per i successivi anni), in quanto potrebbe violare gli art. 32 e 79 della legge 392/1978. (si tratta di un patto palese di modifica in aumento del canone di locazione diverso dal patto occulto di aumento del canone di locazione)

In particolare, si afferma che questo tipo di clausole potrebbero essere un espediente per violare il divieto di cui all'articolo 32 I. 392/1978 che consente la variazione del canone al massimo nel 75% della variazione dell'indice Istat, con conseguente nullità per violazione dell'articolo 79 della stessa legge o comunque, più in generale, perché in frode alla legge.

Resta da chiedersi se sussistono delle ipotesi in cui una clausola a scalare in aumento del canone di locazione non è un elemento per danneggiare l'inquilino, ma è un mezzo per agevolare l'attività dell'inquilino (proprio questa valutazione ha spinto a ritenere che nelle locazioni di immobili ad uso non abitativo, in applicazione del principio della libera determinazione convenzionale del canone, la quantificazione del canone in misura differenziata e crescente può essere legittima se risulta giustificata la riduzione del canone per un limitato periodo iniziale.

La clausola che prevede variazione in aumento del canone locatizio, per essere valida,  deve essere connessa ad un ampliamento della controprestazione (in altri termini l'aumento del canone è giustificato da un'ulteriore prestazione fornita dal conduttore all'inquilino).

Oppure, la clausola che prevede variazione in aumento del canone locatizio, per essere valida,  deve essere giustificata a elementi incidenti sull'equilibrio economico del contratto (ad esempio, l'inquilino sosterrà le spese di ristrutturazione del locale affittato).

Ovviamente, si tratta di ipotesi che dovranno essere reali (e, quindi, devono essere provate in caso di contestazione), infatti, difficilmente una clausola a scalere in aumento del canone di locazione potrà essere giustificata da mere affermazioni di stile del tipo, il canone a scalare in aumento  è così determinato:  "in funzione delle spese di avvio della struttura", (in quanto le spese di avvio della attività esercitata nell'immobile non sono identificate né quantificate, con conseguente mancato rispetto del requisito di predeterminazione (e non modificabilità del canone di locazione).

Pertanto detta clausola sarebbe un espediente per violare il divieto di cui all'articolo 32 I. 392/1978 che consente la variazione del canone al massimo nel 75% della variazione dell'indice Istat, con conseguente nullità per violazione dell'articolo 79 della stessa legge "o comunque, più in generale, perché in frode alla legge".

Oltre a motivazioni reali, le medesime motivazioni che giustificano l'aumento a scalare del canone devono trovare supporto in un'oggettiva giustificazione indicata nel negozio stesso.

La rinunzia a una parte del canone di locazione o riduzione del canone di locazione concordato

Resta da chiedersi se lo stesso risultato può essere raggiunto attraverso altri mezzi, ad esempio, concordando il canone per tutto il periodo e poi rinunziando ad una parte del canone per i primi anni del contratto di locazione (ad esempio le parti convengono che il canone di locazione è fissato in € 10 per tutta la durata del rapporto, ma il proprietario rinunzia per i primi 3 anni al 50% del canone onde permettere all'inquilino di avviare l'attività di impresa oppure per i primi 3 anni è accordato al conduttore, in funzione delle spese di avvio della struttura, motivate dal conduttore prima e fuori dal presente contratto, un pagamento del canone ridotto).

Il ragionamento alla base di tali clausole è relativamente semplice: se non sono possibili clausole in aumento, nulla esclude rinunzie al canone o riduzione del canone.

Risulta evidente che il risultato matematico o economico delle due clausole (in aumento a scalare o di riduzione del canone ab origine determinato) potrebbe essere identico, ma sono diversi i presupposti, infatti, la rinunzia al canone (o la riduzione del canone concordato ab origine) vede come protagonista il proprietario e il canone è determinato in maniera fissa fin dal primo anno.

Quindi, le parti con la clausola di riduzione del canone o di rinunzia al canone (anche se temporanea o limita nel tempo) non pattuiscono una sequenza di aumento del canone, ma concordano  una sorta di sconto iniziale in considerazione (ad esempio) dei costi che gravavano la conduttrice all'inizio del rapporto per poter utilizzare l'immobile (per cui il contratto indica la volontà di agevolare la società conduttrice nei primi anni di locazione e il contratto contiene la volontà di ridurre il  canone libero).

Si tratta, quindi, di comprendere la reale volontà delle parti e può sussistere una volontà negoziale non nel senso di un aumento del canone originario, bensì una volontà negoziale  "opposta" che ha identificato immediatamente il canone annuo, decurtandolo parzialmente nella prima parte temporale del rapporto in conseguenza di oggettive necessità della ricorrente che la corte ha escluso costituissero una finzione per aggirare le barriere normative.

Cass. civ. sez. III del 20 gennaio 2017 n 1430

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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