Lo scandalo della Lega Nord
Lo Scandalo della Lega Nord
L'inchiesta di Napoli sulla Lega Nord
L'inchiesta di Milano
L'inchiesta di Reggio Calabria
Le spese della famiglia Bossi
Renzo Bossi & The Family
Nadia Dagrada e lo scandalo della Lega Nord
Le lauree comprate da Renzo Bossi e Francesco Belsito
I diamanti di Belsito e Stiffoni
Umberto Bossi leader della Lega?
E' un pomeriggio di primavera, quando vent'anni di storia di un partito evaporano con le dimissioni di Umberto Bossi da segretario del Carroccio. Una decisione «irrevocabile» quella comunicata dal senatùr al Consiglio federale. Non poteva essere altrimenti dopo quanto emerso dai documenti in possesso dei magistrati in relazione al caso Belsito. Non è semplice ricapitolare il giro di fatture false, assegni «strani» e investimenti che circolava intorno a colui che avrebbe dovuto amministrare il denaro pubblico dei rimborsi elettorali della Lega. Tutte somme prelevate dall'ex tesoriere, ora indagato per appropriazione indebita, truffa ai danni dello Stato -riguardante proprio i soldi pubblici sottratti dalle casse del partito di Padania- e riciclaggio.
E' successo tutto in un attimo. I leghisti si ritrovano i Carabinieri del NOE e della Guardia di Finanza nella sede di via Bellerio. Il motivo di questa «gentile visita», come l'ha definita poi Matteo Salvini, è una perquisizione nell'ambito di un’operazione congiunta condotta da Napoli, Milano e Reggio Calabria, nella quale la Lega Nord risulta invischiata fino al collo (ma questo lo si scoprirà solo nei giorni successivi). Ad indagare sono, dunque, tre Procure, con una trentina di mandati di perquisizione e decine di indagati. Va detto, però che le prime avvisaglie di questo scandalo, si erano avute esattamente 4 mesi fa, quando si era scoperto della grande passione di Francesco Belsito per gli investimenti finanziari. Tanto grande da decidere di prevelare un mucchio di soldi dalle casse leghiste per farli fruttare in Tanzania, Cipro e Norvegia. Una mossa che però non piacque ai vertici del Carroccio, in particolare ai maroniani con i sospetti che qualcosa non andasse per il vero giusto ed il campanello d'allarme anche per gli inquirenti. Nelle carte dell'inchiesta della procura milanese, si leggerà poi di «gestione opaca dei fondi», non solo in relazione a quegli strani investimenti all'estero, ma agli ultimi sette anni di amministrazione dei finanziamenti pubblici. Belsito «ha alimentato la cassa con denaro non contabilizzato ed ha effettuato pagamenti e impieghi, anch’essi non contabilizzati o contabilizzati in modo inveritiero». Si parla di «gestione in nero» dei finanziamenti pubblici sottratti dalle casse del Carroccio. Ecco perché l'imputazione di truffa ai danni dello Stato. E poi c'è un sospetto che ha la forma di un macigno sul clan dei Bossi: dal 2009 quei soldi sono stati utilizzati per coprire le spese private della "famiglia". E così il partito che aveva fatto di Roma Ladrona il suo motto, vede riverberarsi lo stesso slogan su di sé. #Lega Ladrona diventa topic trend su Twitter in poche ore.
Inchiesta di Napoli, da Lavitola alla Lega Nord
La procura di Napoli stava indagando sul caso Lavitola-Tarantini in merito alla presunta estorsione ai danni dell'ex premier Berlusconi, quando si è imbattuta in alcune intercettazioni sospette che hanno indotto i magistrati ad aprire un nuovo fascicolo. Si è iniziato con degli accertamenti su alcune transazioni finanziarie riferibili all'uomo d'affari veneto Stefano Bonet, legato ad un altro uomo affarista, Paolo Scala, entrambi indagati. Nella prima informativa dei carabinieri del nucleo operativo ecologico, datata 30 marzo 2012, si legge di «operazioni economiche riconducibili ad attività di riciclaggio poste in essere da Stefano Bonet». E' quanto riportato nel decreto di perquisizione emesso dai magistrati napoletani Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio, della sezione reati contro la pubblica amministrazione, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco. Gli inquirenti si sono mossi con l'obiettivo di capire se quelle somme amministrate da Belsito fossero «di natura lecita (rimborsi elettorali) o finanziamenti privati dichiarati, o anche illecita, come invece -scrivono i pm- pare potersi ragionevolmente desumere dalle modalità di gestione delle stesse finora emergenti (carattere personale dei rapporti personali intrattenuti, transito sull’estero delle somme, commissioni lucrate a titolo personale dello stesso Belsito)». E così sono scattate le perquisizioni: 17 in totale, incluse quelle nelle abitazioni dell'ex tesoriere leghista a Genova e di Bonet a Meolo, in provincia di Venezia, e presso le sedi di diverse società, tra cui Polare, Siram di Pozzuoli, D&DConsulting Sas di Napoli e la Psgr Srl di Pagani, a Salerno. Tutte imprese attraverso le quali Belsito avrebbe mosso i soldi sottratti dai finanziamenti pubblici, secondo le accuse dei pm.
Inchiesta di Milano, dai fondi in Tanzania a Gemonio
Il 23 gennaio 2012 un anonimo esponente del Carroccio presenta un esposto sull’utilizzo dei fondi del partito negli investimenti in Tanzania e a Cipro. Come accennato, non pochi erano i membri al vertice della Lega che avevano guardato con perplessità agli affari all'estero di Belsito. In particolare, nella frangia dei "barbari sognanti". Ma i sospetti non erano solo interni. Come poi è emerso dalle ricostruzioni degli inquirenti fu la stessa banca tanzanese sulla quale avrebbero dovuto essere versati 4,5 milioni di euro targati “Carroccio” a rifiutare il deposito. Dopo averlo “congelato” per circa un mese, lo avrebbe restituito al mittente per «carenza di trasparenza». E' il procuratore aggiunto di Milano, Alberto Nobili, che inizia ad indagare sul «sospetto in merito alla liceità di questa e molte altre operazioni finanziarie effettuate mediante denaro pubblico». Il fascicolo viene però inviato al collega Alfredo Robledo, più competente sulle vicende di Via Bellerio avendo già eseguito alcuni accertamenti sue esponenti della Lega. Ancora una volta, oltre a Belsito, ci sono gli affaristi Scala e Bonet nel mirino degli inquirenti. L'accusa ipotizzata nei loro confronti è «appropriazione indebita aggravata, con riferimento al denaro sottratto al partito politico Lega Nord». Nel decreto di perquisizione si legge che «alla Lega Nord vengono annualmente accreditate somme significative dagli organi della Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica a titolo di rimborso di spese elettorali nell’agosto 2011 sono stati corrisposti alla Lega Nord circa 18 milioni di euro. Tali somme hanno avuto quale presupposto la validazione del rendiconto 2010 sul quale vi è la prova della falsità».
Inchiesta di Reggio e collegamento con la ‘ndrangheta
E' la parte forse più oscura della triplice inchiesta sullo scandalo che ha travolto Bossi & famiglia. L’inchiesta è coordinata dal Procuratore antimafia di Reggio, Giuseppe Lombardo della Dda. L'ipotesi è che vi sia un collegamento tra Belsito (indagato per riciclaggio), gli uomini d’affari indagati a Milano e altre persone, forse legate alla criminalità organizzata. Nello specifico, alla potente cosca De Stefano. Il tramite sarebbe Romolo Girardelli, detto "l'ammiraglio", già noto alla Dia che nel 2002 lo aveva indagato per i presunti legami con «elementi di primissimo piano» del clan malavitoso. I magistrati lo accusano di essere una sorta di prestanome del cassiere leghista, che agevola in tutte le operazioni «opache» di circolazione di danaro. «In questo quadro si inseriscono il trasferimento dei cinque milioni e 700 mila euro a Cipro e in Tanzania» scrive il Corriere della Sera in un articolo dell'8 aprile che svela i verbali dell'interrogatorio di Helga Giordano, della Lega, licenziata con l'accusa di aver truffato un'imprenditrice (mentre lei sostiene di essere stata vittima di mobbing da parte di Belsito). «I magistrati sono convinti che proprio Girardelli attraverso le casse della Lega riciclasse i soldi della criminalità organizzata» scrive il quotidiano di Via Solferino. Nel decreto di perquisizione del magistrato reggino si legge: «Si tratta di complesse operazioni bancarie di “esterovestizione” e “filtrazione” in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Condotta posta in essere da Girardelli per agevolare l’attività dell’associazione mafiosa e in particolare della “cosca De Stefano”».
I costi della famiglia Bossi
«Rilevanti somme di denaro» del Carroccio utilizzate «per sostenere esigenze personali e familiari, estranee alle finalità ed alla funzionalità del partito». E' questa l'accusa principale che sta portando alla fine del mito Lega Nord. Un partito che si spacca piano piano a causa della "voracità" di parte della classe dirigente. Secondo quanto emerge dagli atti dell'inchiesta, i destinatari dei soldi derivanti dai finanziamenti pubblici erano «Bossi Umberto, Manuela Marrone (moglie), Bossi Riccardo, Bossi Renzo, Bossi Roberto, Mauro Rosy, Calderoli, Stiffoni, scuola Bosina, Sinpa (Sindacato Padano)» e, come se non bastasse, agli atti risulta che il denaro, «veniva elargito senza lasciare traccia a Bossi e ai suoi familiari». Ipotesi avvalorata da un'intercettazione del 29 gennaio 2012 tra Belsito e Nadia Dagrada, segretaria amministrativa del partito, in cui si parla «chiaramente del nero che Bossi dava tempo fa al partito». Per gli inquirenti «ovviamente il significato del nero è riconducibile alla provenienza del denaro contante che può avere varie origini, dalle tangenti, alle corruzioni o ad altre forme di provenienza illecita e non tracciabile». L'argomento discusso dal tesoriere e dalla segretaria è particolarmente scottante, lo si capisce dal fatto che ad un certo punto «Nadia dice che bisogna trovare altre soluzioni per poter continuare a fare ciò», dopo che Castelli (ex ministro della Giustizia) aveva preteso dei controlli sui conti del Carroccio. A tal proposito, continuano gli investigatori citando la segretaria, bisognava «parlare col capo, per far allontanare Castelli» ed evitare così che l'ex ministro ficcasse il naso in quelli che sono stati definiti "i costi della famiglia". Stando alle prime tesi investigative, finanziamenti pubblici di decine di migliaia di euro sarebbero stati utilizzati per la ristrutturazione della villa di Gemonio dove Bossi vive con la propria famiglia, per l'acquisto dell'automobile di Renzo detto il Trota, un'Audi A6 (per una spesa di circa 41mila euro), per la scuola Bosina di Varese, l’istituto privato parificato gestito dalla signora del Senatùr, Manuela Marrone. Pagata con i soldi pubblici anche una vacanza ad Alassio.
"The family", la cartellina segreta di Belsito
A fare
chiarezza sul presunto uso privato di soldi pubblici ci ha pensato in buona parte la cartellina trovata nella cassaforte di Belsito e sequestrata dai carabinieri del NOE. Fatture, ricevute, assegni per far fronte alle spese della "Family" (come da intestazione dello stesso fascicolo): si va dalle spese mediche per pagare il naso del piccolo Sirio e il dentista del Senatùr, alla sfilza di multe per le contravvenzioni stradali beccate da Renzo, fino ai lavori per la casa di Gemonio. Ci sono poi due bonifici girati dalle casse del Carroccio alla moglie, Manuela, per un ammontare di 9mila euro. E c’è la firma dello stesso leader maximo leghista. E' questa la prova, secondo la Procura di Milano, che anche Bossi sapeva come e a favore di chi venivano spesi i soldi del suo partito. Un' evidenza corroborata dalle dichiarazioni della Dagrada.
Il racconto di Nadia Dagrada, segretaria della Lega Nord
Per unire i pezzi del puzzle è stata utilissima la segretaria del Carroccio. Le dichiarazioni della donna (che conobbe Belsito ancor prima che diventasse l'amministratore delle casse della Lega) hanno trasformato quelle che erano solo congetture degli investigatori, in qualcosa di molto più concreto. E' passato molto tempo da quando Nadia Dagrada ha capito che qualcosa non andava nella gestione dei fondi del partito di Padania. Tanto per essere chiari, c'era ancora il vecchio conio. «Mi ricordo che alcuni anni fa l’ex amministratore della Lega Nord, signor Balocchi [il tesoriere della Lega Nord, sostituito da Belsito dopo la malattia che ne causò il decesso], portò in cassa venti milioni di lire in contante dopo essersi recato nell'ufficio di Bossi», ha raccontato la segretaria ai magistrati. Ciò dimostra, secondo gli accusatori, che il Senatùr già sapeva da prima del 2002 del giro di soldi pubblici (e in nero). Quel giorno, «Balocchi uscì dall’Ufficio di Bossi e venne nell’ufficio da me, mi consegnò i 20 milioni di lire dicendomi di non registrarli e di metterli in cassaforte che poi ci avrebbe pensato lui. Ribadisco che sapevo che circolava del nero nella Lega ma io ho visto personalmente solo questa operazione». E in particolare, c'è una telefonata che fa capire come dopo il caso di Balocchi, la storia si sia ripetuta:«Tutto quello che hai fatto tu – dice la Dagrada, intercettata, a Belsito -Maurizio Balocchi non l’ha mai fatto da che era amministratore». La sensazione della Dagrada è che questo sistema abbia preso una brutta piega dopo la malattia di Bossi nel 2003. E' stato quello « l’inizio della fine» per la segretaria del Carroccio. Da lì in poi «si è cominciato con il primo errore consistito nel fare un contratto di consulenza a Bruxelles a Riccardo Bossi, se non ricordo male da parte dell’onorevole Speroni. Dopo di che, si sono cominciate a pagare, sempre con i soldi provenienti dal finanziamento pubblico, una serie di spese personali a vantaggio di Riccardo Bossi e degli altri familiari dell’onorevole Bossi». E la lista della spesa è lunga.
Le lauree di Renzo Bossi e Rosi Mauro
La cultura prima di tutto per i membri del Cerchio Magico. Lo si capisce chiaramente dalle dichiarazioni della Dagrada che riferisce dei diplomi e delle lauree conseguite in Svizzera da Rosy Mauro e dalla sua guardia del corpo Pierangelo Moscogiuri. Titoli di studio costati circa «120mila euro prelevati dalle casse della Lega» secondo la segretaria che racconta di come «anche Renzo Bossi dal 2010 sta prendendo una laurea presso un’università privata di Londra e so che ogni tanto ci va a frequentare e chiaramente le spese sono tutte a carico della Lega, ed anche qui credo che il costo sia sui 130mila euro». Un desiderio di sapere mai sopito quello del Trota, se si pensa all'altra laurea del figlio del Senatùr, quella conseguita in Albania. Nella cassaforte di Belsito, i magistrati hano infatti trovato la pergamena che dimostra come Bossi jr sia diventato dottore in gestione aziendale all’Università Kristal di Tirana. Al di là del fatto che questa presunta laurea è arrivata ancor prima che il Trota si diplomasse (cioè, nell'anno accademico 2007/08, quando sul diploma di maturità c'è scritto 2008/09 dopo varie bocciature), ciò che colpisce è il fatto che il figlio del leader del partito avrebbe dovuto aver almeno la residenza in Albania per laurearsi all'università di Tirana.
Prima il dovere e poi il piacere, dunque. E il piacere pagato coi soldi pubblici dei rimborsi elettorali, stando alle dichiarazioni della Dagrada, per il Trota era rappresentato da una berlina dal valore di 41mila euro (l'Audi A6) euro e da un'utilitaria, una Smart da 12 mila euro. Ma le auto di grossa cilindrata erano assai apprezzate in casa Bossi. Così spunta anche una «Bmw X5 in uso a Riccardo Bossi a cui abbiamo pagato il riscatto del leasing perché non era in grado di affrontarne gli oneri». Parole della segretaria del Carroccio messe a verbale dai pm. C'è poi qualcosa come mezzo miliardo del vecchio conio (251mila euro) «agli undici ragazzi», quasi certamente la scorta privata del Trota. Un capitolo a parte lo meriterebbe la Scuola Bosina, l'istituto fondato a Varese della moglie del Senatùr che avrebbe beneficiato di «un mutuo da un milione e mezzo di euro fatto con la Pontidafin (società finanziaria della Lega Nord con sede in via Bellerio, ndr)» come si ode in un'intercettazione dello scorso 8 febbraio tra il tesoriere e la segretaria. Ce n'è poi un'altra del 26 febbraio, in cui i due parlano di «300 mila euro destinati alla scuola Bosina per Manuela Marrone, che non so (parla Belsito) come giustificare». Ad oggi, atti ed intercettazioni alla mano, la quota più significativa di soldi pubblici finiti alla famiglia Bossi sarebbe proprio quella destinata alla scuola di Lady Bossi. Va però detto che la Bosina ha beneficiato della Legge Mancia, che consente a deputati e senatori di destinare finanziamenti per piccole opere. 800 mila euro di fondi per la precisione, secondo quanto affermato da Rosy Mauro in una recente puntata di Porta a Porta.
I diamanti e i lingotti della Lega Nord
E in questa lunga lista della spesa leghista vanno messi nel carrello gli 11 diamanti e i 5 chilogrammi di lingotti d'oro per 3-400 mila euro custoditi da Francesco Belsito per Rosi Mauro e Piergiorgio Stiffoni. I pm sono convinti che l’ex amministratore abbia prelevato dalle casse di via Bellerio il danaro per comprare i preziosi, poi restituiti dallo stesso tesoriere alla Guardia di Finanza. C'è il rischio davvero di perdersi nell'elencare tutte le spese disinvolte del Cerchio Magico. C'è il rischio, ad esempio, di dimenticare di un rapporto dei carabinieri che spiega che con i rimborsi elettorali della Lega veniva pagato l’affitto dell'appartamento romano di Calderoli (anche se la questione è molto complessa). «Troppi, troppi soldi» se ne accorge la Dagrada che a un certo punto teme che le cose possano mettersi male pure per lei e vuole trovare una soluzione insieme a Belsito. Il tesoriere, secondo la donna, dovrebbe «far capire al capo: "guarda che tu non hai la possibilità di rimediare a tutto quello che è stato dato a tua moglie, sia per lei sia per la scuola e sia per i tuoi figli, perché sono troppi, troppi soldi"». Un vorticoso giro di assegni, investimenti, fatture e ricevute di cui Bossi sarebbe stato a conoscenza. E senza dimenticare Daniela Cantamessa, da oltre sette anni segretaria particolare del Senatùr, che racconta ai magistrati napoletani di aver messo al corrente lo stesso leader maximo leghista: «Io stessa avevo avvisato Bossi delle irregolarità di Belsito, o meglio della sua superficialità ed incompetenza e del fatto che Rosy Mauro era un pericolo sia politicamente sia per i suoi rapporti con la famiglia». Bossi sapeva tutto, dunque?
Viva Bossi abbasso Rosi Mauro
La pasionaria della Lega (all'anagrafe Rosa Angela) è stata immediatamente espulsa dai vertici del consiglio federale, così come Belsito. A ben vedere tra i due leghisti non sono stati fatti i necessari distinguo. Eh già, perché se sulla testa del plurindagato tesoriere pendono diverse accuse – dall'appropriazione indebita alla truffa aggravata, passando per il riciclaggio – per la sindacalista padana le cose sono un po' diverse. Il suo nome non è iscritto nel registro degli indagati, ma dalle parti di Via Bellerio la Mauro è considerata il capro espiatorio dei mali del Carroccio. Il motivo è presto detto. Rosy Mauro paga innanzitutto il fatto di essere stata sempre l'ombra del Senatùr; da quando l'ictus lo colpì nel 2004, ne ha sbrigato pure le necessità sanitarie, al punto per i nemici nel partito è diventata la "badante". Ma la Rosy gestisce pure il fantomatico SIN.PA., il sindacato padano per il quale riceveva un contributo annuo di 250.000 euro – sui quali pure i magistrati indagano: erano realmente investiti nell’attività sindacale? – dal tesoriere calabrese della Lega, lei che di origine è leccese. Altro motivo per non essere vista di buon occhio dai veraci padani. A ben vedere, il benservito leghista alla Vicepresidente del Senato che non ci pensa proprio a dimettersi dal suo ruolo, stona e non poco. Se è stata allontanata lei, per quale motivo non è stato cacciato pure Calderoli? O anche Reguzzoni accusato da un altro leghista di aver speso in un anno ben 90mila euro con la carta di credito del partito? E secondo logica perché non espluso anche lo stesso leader maximo che – a sua insaputa – si sarebbe visto ristrutturare il terrazzo della villa di Gemonio, finanziare la scuola della moglie, pagare le multe e le lauree del figlio grande, il naso di quello piccolo, senza contare le auto ai diversi fanciulli? No, il senatùr non si tocca e la colpa è solo dei magistrati inviati da «Roma ladrona e farabutta». E anzi, lui potrebbe anche ricandidarsi per tornare presto alla guida della Lega.