L’Italia del ’68: il cambiamento e la rivoluzione incompleta
Grazie al sessantotto i giovani di buona parte del mondo divennero finalmente soggetti sociali: una massa variegata e colorata, unita solo dal comune principio di contestazione dell’autorità, irruppe finalmente nella storia, cambiandone per sempre il corso. Il movimento nacque intorno alla metà degli anni sessanta negli Stati Uniti, diffondendosi poi in Europa e raggiungendo l’apice con il Maggio francese; a seconda del paese in cui ebbero luogo, le contestazioni assunsero caratteristiche specifiche e particolari.
Il sessantotto italiano (che abbiamo inserito nell'insieme delle storie di Noi Italiani), però, sarà perché è stato il nostro e quindi siamo di parte, ebbe delle sfumature significative e commoventi che meritano di essere messe in luce in un discorso a parte. Innanzitutto le ragioni dei giovani, i quali contestavano la parzialità e l’arretratezza dei programmi ministeriali e manifestavano per estendere il diritto di studio anche alle classi più disagiate e che conclusero la prima occupazione dell’Università di Trento del 1966, da cui il movimento ebbe origine, recandosi in giro per il paese come volontari per l’alluvione che colpì gran parte dell’Italia settentrionale e centrale. Muovendosi spontaneamente, con altri giovani, nasceva in essi, per la prima volta, la coscienza di appartenenza ad una classe che, fino a poco prima, era sconosciuta: quella classe che entro il 1968 occupò tutte le università della penisola, scontrandosi contro un polizia che, ricorrendo a metodi repressivi e violenti, fu responsabile dell’ulteriore infiammarsi delle proteste. Come ci ricordano i saggi e provocatori versi di Pier Paolo Pasolini a proposito della battaglia di valle Giulia in quel 1 marzo.
Ma le proteste studentesche che inizialmente furono sottovalutate da stampa e politica, furono anche la miccia per accendere le proteste dei lavoratori, coloro che dal boom economico non avevano visto tornare indietro niente, né in termini di diritti, né tanto meno di adeguamenti economici. Gli operai, finalmente costituitisi in classe anch’essi, chiedevano il rinnovo dei contratti di lavoro, l’aumento dei salari, la diminuzione del numero delle ore, le pensioni, i servizi. Alla Fiat di Torino tre mesi di scioperi ed agitazioni, provocarono la sospensione dei salari; la città stava per sfiorare il collasso quando nel dicembre del 1968 la fabbrica fu costretta ad accettare quasi tutte le condizioni dei sindacati. Il movimento operaio aveva finalmente assunto, oltre che consapevolezza e dignità, finalmente anche il potere.
Il sessantotto per la nostra giovane storia, fu un momento di incredibile condivisione, forse uno dei pochi in cui gli italiani sperimentarono davvero la propria appartenenza alla nazione, pur senza rendersene conto: studenti o operai che fossero, tutti italiani, senza alcuno spazio per il becero regionalismo, tutta l’Italia, da Nord a Sud richiedeva con forza i propri diritti. Al di là delle valutazioni sociali o del proprio colore politico, i contestatori capirono che il mondo stava andando in un’altra direzione e seppero cavalcare l’onda che veniva dal resto del mondo con richieste che andavano ad infrangersi contro la rigidità alto borghese che, evidentemente, sperava che questo vento non soffiasse mai. E che seppe, successivamente trasformare il movimento con abilità in qualcosa di più politico, facendo in modo che questo perdesse tutta la sua energia spontanea, portandolo dunque al lento spegnimento, nel corso del decennio successivo.
Un’occasione, dunque, avrebbe potuto costituire il sessantotto, non solo per la riscossa di quelle classi più disagiate che videro i propri diritti riconosciuti, ma anche per creare un senso aggregativo maggiore, che durasse nel tempo, oltre le divisioni politiche e geografiche. Lo spirito di quell’anno, tuttavia, non durò e la radicalizzazione dei conflitti di parte portò alle conseguenze nefaste che tutti conosciamo. E di cui, forse, la nostra Unità paga le conseguenze ancora adesso, se pensiamo alla fine che hanno fatto, in una grossa parte di Italia, buona parte dei voti di coloro che, un tempo, uniti dalla coscienza di classe o dalla voglia di cambiamento, votavano il PCI.
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