Libia sull’orlo della guerra civile, tre poliziotti impiccati dai manifestanti
La Giornata della Collera finisce nel sangue con un drammatico bilancio di quaranta morti tra i manifestanti che da ieri stanno protestando con il regime di Muammar Gheddafi, che da 41 anni detiene saldamente il potere in Libia. Dopo gli scontri in Tunisia e la rivolta in Egitto, il paese dei beduini potrebbe essere il prossimo a liberarsi dalla tirannia. Le strade di Tripoli e Bengasi sono presidiate da cortei di protesta che si scontrano contro le forze di polizia. Episodio drammatico a Al Bayda, dove tre agenti sono stati impiccati dalla folla inferocita.
Sono migliaia i giovani che chiedono a gran voce la destituzione del leader libico Gheddafi, sotto scacco dei manifestanti Tripoli, Derna e Bengasi. Sono scesi in campo anche i militari per sostituire la polizia che in parte si era schierata a favore delle manifestazioni. Ma alcune truppe inviate a Bengasi avrebbero disertato per schierarsi con i manifestanti, ora dotati anche di carri armati. I tre agenti di polizia uccisi provengono dall'Africa sub-sahariana e farebbero parte di una task-force di mercenari utilizzate da Gheddafi per reprimere nel sangue le protese. Questi migranti provenienti dal nord della Libia sarebbero pagati per sparare sui manifestanti per ucciderli. Sarebbero già quaranta le vittime e 220 feriti.
La polizia ridimensiona le cifre e dichiara che soltanto sette manifestanti sono stati uccisi nei due giorni di guerriglia urbana. L'informazione è fortemente ostacolata in tutto il paese, le autorità stanno oscurando Internet e social network come Facebook e Twitter, utilizzati dai manifestanti per organizzare le proteste. Per strada continuano gli incendi di automobili e delle sedi governative. Non sembra però preoccupato il leader libico Gheddafi, che oggi ha partecipato ad una manifestazione di appoggio al suo governo nel centro di Tripoli. Si attende la riunione del Parlamento, che lunedì dovrebbe sostituire alcuni membri dell'esecutivo e avviare alcune riforme sociali. Intanto arriva il monito di Barak Obama. Il Presidente degli Stati uniti condanna la dura repressione delle proteste e rivendica il diritto di ogni popolo di manifestare.